Quanto spenderemo per questo Natale

E’ uscito in questi giorni il nuovo libro, bellissimo e impegnativo (oltre 900 pagine), di un grande storico inglese, Frank Trentmann: “L’impero delle cose”, che ripercorre genesi ed evoluzione del consumismo nell’Europa occidentale dal Rinascimento ai giorni nostri. Non c’è bisogno di chissà quali ricerche illuminate per sapere come la nostra società rappresenti il punto più alto del consumismo e come sia completamente caratterizzata dal dominio delle merci e dall’accumulo compulsivo di “roba”, ma i documenti e i dati statistici che l’autore riporta relativamente alla situazione attuale offrono comunque un quadro a dir poco sorprendente. Veniamo a sapere, per esempio, che in media una famiglia europea ha in casa qualcosa come diecimila oggetti, che circa il 7% di cittadini statunitensi soffre di oniomania (sindrome da acquisto compulsivo), che nei nostri armadi ci sono vestiti per un valore che oscilla tra i duemila e i cinquemila euro, un terzo dei quali mai indossati nel corso dell’anno precedente.
Al di là dei numeri, che comunque ci danno la misura abbastanza inequivocabile di ciò che siamo, il percorso, complesso ma chiarissimo, tracciato da Trentmann, ci mostra come l’evoluzione del consumismo, e del concetto stesso di consumo, da elemento costitutivo del progresso ne sia diventato la sua degenerazione. Nei secoli presi in esame dallo studio l’umanità ha conosciuto un progresso e uno sviluppo straordinari, ha annullato le distanze, ha innalzato le aspettative di vita, ha debellato o reso innocue malattie prima mortali, ha conquistato diritti inalienabili. Di questo cammino prodigioso ed esaltante, da principio il consumismo è stato uno dei suggelli, la conquista del possedere denaro (e tempo) per i cosiddetti “beni secondari”, non necessari alla sopravvivenza ma indispensabili per la qualità della vita. La degenerazione degli ultimi decenni lo ha trasformato in accumulo cieco e selvaggio, nella dittatura senza ritorno dell’inutile e del superfluo. Non solo, questa necessità e questa smania di possedere “cose”, ha portato il consumatore ha considerare quasi esclusivamente la quantità a scapito della qualità. Tradotto: non avendo denaro a sufficienza per permettermi tanti oggetti di qualità, e volendo avere lo stesso tanti oggetti, ne compro ugualmente a dozzine, ma di qualità bassa o scadente. Ovvero, invece di comprare due buoni paia di scarpe, ne acquisto dieci di qualità tra il pessimo e il mediocre.
La conclusione è abbastanza paradossale. Se il consumismo era stato l’effetto più visibile del miglioramento della qualità della vita, oggi finisce per peggiorarla. Vestiamo peggio, mangiamo peggio, viviamo peggio.
Non solo. Anche il principio, di fatto inconfutabile, che acquistando si fa girare l’economia, finisce per crollare. Riempiendoci la casa di prodotti scadenti, spesso di dubbia provenienza, all’economia diamo il colpo mortale.
Siamo a Natale, il periodo dell’anno in cui siamo più propensi a spendere e dove, di conseguenza, le smanie compulsive da accumulo raggiungono i massimi livelli. La previsione statistica dice che in media ogni famiglia spenderà circa 400 euro, contro i 315 spesi l’anno scorso. Un dato che potrebbe essere incoraggiante circa la tanto sospirata uscita dal tunnel della crisi.
Ma il problema non è quanto spenderemo, ma come e in cosa spenderemo.
Non si tratta di auspicare deliranti e irrealistiche rivoluzioni per l’abolizione del consumismo e il ritorno al baratto, ma di porsi il consumo consapevole come un obiettivo imprescindibile: etico, economico e sociale.
Comprare meno e comprare meglio. E, comprando meglio, vivere meglio.

#LuneDiBlog
#resistenzeRiccardoLestini

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