J’accuse (a proposito di Buona Scuola: riannodando i fili della protesta)

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J’ACCUSE (a proposito di Buona Scuola, riannodando il filo della protesta)

Ringraziando sin da ora chiunque avrà modo o volontà di dedicare tempo a queste righe, ospitandole nei propri spazi o semplicemente leggendole, nell’ovvia necessità di riassumere e schematizzare, io

DENUNCIO:

in primo luogo la vergognosa campagna mediatica e governativa con cui, da mesi a questa parte, viene presentata all’opinione pubblica qualsiasi questione relativa al mondo della scuola in generale e alla riforma “La Buona Scuola” in particolare;

l’occupazione aberrante degli spazi mediatici concessi a fautori e sostenitori della riforma cui, nella maggior parte dei casi, è stato concesso di parlare nella più assoluta assenza di contraddittorio;

gli spazi esigui, minimi, spesso ridicoli, concessi viceversa al mondo della scuola, o quanto meno a quella fetta di universo scolastico (palesemente in schiacciante maggioranza) contrario alla riforma;

la scandalosa superficialità semplificatrice con cui tali temi sono stati puntualmente affrontati e trattati in ogni sede, ufficiale e non, a partire dalle celebri slides, fino ad arrivare all’altrettanto celebre “lezione” con lavagna e gessetti;

il silenzio agghiacciante delle istituzioni davanti alle offese più sconsiderate, assurde, oscene, generalizzate e generalizzati che, a cadenza pressoché settimanale, sono state scagliate contro l’intera classe docente;
perché nessuno – tranne gli stessi insegnanti – si è preoccupato di difendere pubblicamente i docenti quando il giornalista Rondolino ha auspicato che venissero “massacrati di botte”?
perché se la scuola, come sostiene il premier, è il “motore” con cui far ripartire l’Italia, nessuno – tranne i docenti stessi – è intervenuto in sedi istituzionali quando il giornalista Lavia ha infangato la professionalità di tutti gli insegnanti invitandoli a tacere e ad “andare a lavorare”?
perché nessuno – a differenza di quanto accade con altre categorie di lavoratori spesso nel mirino, come forze dell’ordine e magistrati – si è affrettato a fare i necessari e sacrosanti distinguo quando l’ad di Finmeccanica Mauro Moretti, dal pulpito del meeting riminese di Comunione e Liberazione, si è permesso di dire che i docenti italiani “insegnano male”?
perché se, come ricorda e sbandiera l’intero governo da mesi, è priorità assoluta e imprescindibile “investire sulla scuola”, nessuno tutela la categoria che la anima?
perché l’investimento passa per la demolizione sistematica e programmata della categoria?
e perché sulla questione “scuola” si intende dar spazio e voce alle opinioni di chiunque tranne che a quelle degli insegnanti?

il silenzio agghiacciante delle istituzioni davanti alle continue e incessanti richieste di dialogo da parte delle associazioni degli insegnanti; e, riguardo a questo, l’ossessionante tormentone del governo secondo cui “ascoltiamo tutti ma poi occorre decidere”, un hastag da conferenza stampa che, abilmente camuffato da apertura, rivelava soltanto la totale e tranciante indisponibilità a qualsiasi discussione con il mondo della scuola;

il principio del “divide et impera” puntualmente applicato nei continui e sempre più paradossali, incoerenti, pasticciati e grotteschi “aggiustamenti” dell’ultimo minuto al testo della riforma, fatti passare per “aperture” e “concessioni”, mentre in realtà altro non sono stati che trucchi utili e calcolati indirizzati a un’unica e sola finalità: dividere le categorie dei docenti, metterli uno contro l’altro, scatenare una feroce e disperata guerra tra poveri, indebolirli e infine, soprattutto, vanificarne ogni reale rivendicazione;

la manovra “oscuratrice” con cui si è voluto per lungo tempo trasformare il tutto in uno scontro tra governo e sindacati, relegando nell’ombra e soffocando nel silenzio le ragioni degli insegnanti;

la manovra “fomentatrice” con cui abilmente e subdolamente si è voluta aizzare l’opinione pubblica contro i lavoratori della scuola, trasformando questi ultimi mesi in una gogna senza precedenti, violenta e ingenerosa;

la manovra “fomentatrice” con cui si è voluto scientemente alimentare autentiche leggende metropolitane quali:
i tre mesi di ferie (quando nella pratica si tratta di 32 giorni come tutte le categorie del pubblico impiego, con l’unica differenza che – nella scuola – non vi è possibilità di scelta del periodo di vacanza; un discorso che, oltretutto, riguarda solo il personale “in ruolo”, mentre per i precari, ciò che l’opinione pubblica chiama “ferie” è in realtà “disoccupazione”);
le 18 ore lavorative settimanali (quando nella pratica le ore lavorative risultano difficilmente calcolabili, senz’altro di gran lunga superiori alle 18 – che riguardano esclusivamente le lezioni, ed essendo, in definitiva, quella dell’insegnante, tra le poche professioni pubbliche non retribuite per le ore effettive di lavoro, ma in una sorta di “forfait” in difetto);
il sentirsi al di sopra del giudizio (quando nella pratica si dimenticano le infinite responsabilità che la professione comporta, i ricorsi, i provvedimenti e le sanzioni cui è passibile un insegnante in ogni singolo aspetto del proprio operato);

la totale mancanza di pudore e decenza nell’aver parlato di “casta” realtivamente a una categoria di lavoratori che percepisce meno di 1500euro mensili e con contratto nazionale bloccato da tempo immemore;

la totale mancanza di pudore e decenza nell’aver parlato di “pretesa di lavorare sotto casa” relativamente a una categoria di lavoratori di cui quasi la metà sono pendolari e una parte consistente direttamente fuori sede;

la totale mancanza di pudore e decenza con cui la questione dei “superpoteri” (virgolettato in quanto espressione non nostra, ma dei media) del “preside sceriffo” sia stata presentata come l’unico e vero motivo della protesta degli insegnanti, sottintendendo come quest’ultimi rifiutassero qualsiasi valutazione e giudizio al loro operato ritenendosi inattaccabili, dimenticando, oscurando e omettendo che:
anche i dirigenti scolastici sono docenti, e perciò privi della formazione che si richiede a una gestione di tipo manageriale;
il docente proprio perché ha scelto questo mestiere non teme giudizi visto che, per essere tale, è già stato sottoposto al giudizio di innumerevoli “comitati di valutazione” (la commissione di laurea; le commissioni di accesso, singoli esami e prova finale della scuola di specializzazione; le commissioni di accesso, singole prove e superamento finale dei concorsi pubblici; le commissioni interne dell’istituto per la valutazione e il superamento dell’anno di prova al momento dell’ingresso in ruolo e della stipula del contratto a tempo indeterminato);

la cancellazione del diritto di scelta alla mobilità territoriale, la cancellazione del diritto di conservazione della titolarità della propria sede di ruolo;

la totale mancanza di pudore e decenza con cui le stabilizzazioni dei docenti precari sono state presentate come dei “favori”, anziché come diritti legittimi conquistati dopo anni e anni di precariato selvaggio;

l’ignobile modalità con cui un sistema contorto, infernale, ingiusto e contraddittorio è stato fatto passare per “piano straordinario di assunzioni”, presentando le relative proteste come “assurde pretese” o, peggio ancora, come “mancanza di vocazione” al mestiere;

l’aver cavillato sul presunto scandalo dell’utilizzo del termine “deportazione” da parte dei docenti, l’aver bacchettato severamente gli stessi con frasi del tipo “di questi tempi non si sputa su un contratto a tempo indeterminato”, omettendo, insabbiando e oscurando che:
i precari storici della scuola, in quanto storici, da tempo immemore sono inseriti in un sistema di supplenze e assunzioni provinciale e che, in virtù di questo, hanno costruito famiglie, vita, radici, mentre di colpo vengono mutate le regole trasformando tale sistema in nazionale e costringendo gli interessati al ricatto “o accetti o sei fuori”;
decine di migliaia di assunzioni avverrano su un fantomatico “organico funzionale” di cui ancora si ignorano le linee guida e le modalità, nonché l’impatto effettivo sull’andamento quotidiano della vita scolastica;

l’aver presentato l’intero impianto della riforma come una rivoluzione che finalmente garantirà merito e competenza, ma che in realtà:
con l’assunzione “diretta” da parte dei dirigenti espone l’intero sistema della scuola ai rischi arcinoti di trasformazione degli istituti in “baronati” e “corte dei miracoli” sullo stile dei dipartimenti universitari;
con la cancellazione delle graduatorie – che, per quanto farraginose, erano costituite da punteggi reali accumulati attraverso titoli ed esperienza sul campo – si cancella l’unica vera garanzia alla tutela del merito e alla trasparenza;

l’aver presentato l’intero impianto della riforma come una rivoluzione che finalmente garantirà stabilità e continuità, ma che in realtà:
con l’introduzione dei contratti triennali rende tutti i docenti, nessuno escluso, precari a vita, senza alcuna garanzia di continuità didattica nei percorsi scolastici di ogni singolo alunno;

l’aver distrutto merito e competenza dando la possibilità a un dirigente di assegnare a un docente l’insegnamento di una materia senza che questi ne abbia i titoli necessari;

l’aver raggirato gli abilitati TFA, vecchi e nuovi, mandandoli a rimpinguare le casse esanimi degli atenei italiani per ottenere abilitazione alla professione e poi rivelare che si stavano semplicemente “comprando” il titolo di accesso per un ulteriore concorso, di cui a tutt’oggi ancora si ignorano termini, criteri e modalità;

una riforma vaga, fumosa, incoerente, superficiale, che si presenta come una “rivoluzione” ma non spiega ai diretti interessati le linee guida di questo cambiamento, affidando di fatto il loro lavoro al caso;

una riforma che presenta come fiore all’occhiello l’ampliamento dei poteri del dirigente scolastico ma che avvia un anno scolastico con migliaia di istituti privi di dirigente, e che al tempo stesso impedisce la nomina dei vicari (i cosiddetti “vicepresidi”);

una riforma che non presenta alcun intervento contro il dramma della dispersione scolastica;

una riforma che promette interventi sostanziali alla fatiscenza degli edifici ma non spiega il come, il quando, il dove, il perché;

una riforma che non si preoccupa di abbattere il costo dei libri per le famiglie ma che viceversa si preoccupa di elargire sgravi fiscali agli istituti privati;

una riforma che chiede più tecnica ma non interviene sull’assenza di strutture, laboratori e via dicendo;

una riforma che chiede collegamento con il mondo del lavoro ma non interviene sui progetti di alternanza, sulla presenza delle aziende, sull’organizzazione di stage degni di questo nome;

una riforma che avvia un anno scolastico in un caos e in un abbandono senza precedenti, con nomine in ritardo pauroso, cattedre vacanti di cui si ignora se saranno ricoperte da supplenti, neoassunti o assunti a partire dall’anno prossimo;

una riforma che non solo ignora, ma getta gli studenti e le loro famiglie nel disagio e nella confusione più estreme;

una riforma che disprezza, dileggia e denigra docenti, non docenti, studenti e famiglie, sostituendo il merito con il favore, la competenza con la competizione;

una riforma che, in definitiva, distrugge definitivamente la Scuola Pubblica e tutti i principi costituzionali che ne sostengono l’esistenza;

e, non da ultimo, DENUNCIO

la leggerezza sconcertante con cui, a colpi di maggioranza, si calpestano senza possibilità alcuna di confronto i principi fondamentali della Costituzione, processo inarrestabile di cui la scuola non è che una minima parte;

altresì, CHIEDO

non soldi, non un aumento di stipendio (che sarebbe sacrosanto, anche solo guardando i parametri europei), non una “carta del professore”, ma DIRITTI, DIGNITÀ, CONSIDERAZIONE;

diritto alla libertà di insegnamento, diritto a rivendicare la tutela della Costituzione, diritto a una scuola di tutti e per tutti, diritto al dialogo, al confronto, alla concertazione;

dignità per l’istituzione cui appartengo, dignità nella difesa dell’istruzione pubblica, laica, gratuita, libera, la cui continuità è costata morti e spargimenti di sangue;
dignità per la figura e la professionalità del docente che, ogni giorno, entrando in aula, annotando voti e giudizi, parlando a platee di studenti, al pari di ogni altro Pubblico Ufficiale rappresenta lo Stato;
dignità non nella sua difesa a prescindere, ma dignità nel criticarlo, valutarlo e sanzionarlo con la stessa competenza, lo stesso puntiglio, la stessa cognizione di causa, lo stesso approfondimento e la stessa onestà intellettuale che gli si richiede nell’esercizio delle sue funzioni;

considerazione per ciò che si chiede e si propone; la considerazione che si deve non a un suddito che deve chiedere udienza sperando nella magnanimità del sovrano di riceverlo e ascoltarlo, ma a un cittadino che chi lo rappresenta ha il dovere di incontrare e ascoltare;

infine, CONCLUDO:

la Legalità che ogni giorno, giustamente, mi si chiede di insegnare ai miei studenti, prevede, tra le altre cose, l’educazione al diritto della libertà di pensiero e il dovere di conoscere e rispettare anzitutto la legge che si ritiene ingiusta e che si contesta, e di conseguenza di manifestare il proprio dissenso nel solco della protesta civile e nel rispetto delle istituzioni;
due principi per me sacri che non smetterò mai di rispettare e mettere in pratica;
pertanto, non metterò a ferro e fuoco gli edifici scolastici, non boicotterò il percorso di educazione e apprendimento cui i miei studenti hanno diritto;
lavorerò, come sempre, nel solco delle regole che lo Stato cui ho scelto di prestare i miei servizi ha deciso di applicare; lavorerò, come sempre, cercando di gettare il cuore al di là dell’ostacolo, con le mie idee, la mia competenza, la mia professionalità e anche con le mie storture e imprefezioni, per le quali sarò sempre pronto ad accettare critiche e risentimenti anche feroci, purché sensati;
ma parimenti, non rinuncerò ai miei diritti, non rinuncerò ad usare ogni mezzo che la legge mi consente per continuare a denunciare questo scempio che chiamate “riforma”, questa sistematica distruzione dell’istruzione pubblica che chiamate “buona scuola”; per denunciare le più spaventose delle condizioni possibili in cui ci costringete a lavorare;

certo di non essere solo in questa battaglia, certo che centinaia di migliaia di docenti come me non cederanno alla tentazione della bandiera bianca, non cadranno nella trappola delle divisioni cui volete sottoporci, non rinunceranno a loro stessi, non rinunceranno a lottare, a cambiare, a quella pura, gigantesca e sconsiderata pretesa di trasformare la scuola – quel mestiere che abbiamo scelto ritenendolo il più bello del mondo – in un posto migliore.

Riccardo Lestini

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