A proposito di Cuba (qualche riflessione e un paio di provocazioni)

Quanto accaduto a Cuba questi giorni è molto più di un grande evento, è storia con la esse così maiuscola che più maiuscola non si può.
E quando va così, quando cioè la Storia ti attraversa in modo così forte e pieno, è difficile, difficilissimo, mettersi a caldo a elaborare considerazioni e/o dissertazioni di ampio respiro. Però, schematizzando, in attesa di rimettere insieme tutti i pezzi, sono convinto che:

1- Obama, in tutto questo, fosse molto più che indispensabile; e non sto parlando dell’Obama-pensiero, ma dell’Obama-presidente nel preciso contesto storico-politico di questi ultimi mesi, e cioè: non riesco a leggere la fine dell’embargo come una naturale evoluzione dell’ideologia “aperta” a sinistra di un uomo, Obama appunto, che sin dalla sua elezione è stato salutato come incarnazione di cambiamenti epocali; viceversa, leggo tutto questo come la mossa di un presidente che, a questo punto del suo doppio mandato, non ha più nulla da perdere né alcun interesse da difendere, e che, a poco meno di due anni dalla sua uscita di scena, in minoranza al senato e con buona parte dell’opinione pubblica che gli ha voltato le spalle, è: a) libero di fare quel che vuole; b) soprattutto, come ogni presidente americano “uscente”, si affretta a far sì che il suo nome resti in qualche modo nei libri di storia per una svolta epocale in politica estera.

2- da parte cubana non si tratta di una specie di “perestrojka” caraibica voluta da Raoul Castro, ma al contrario è lo sbocco sempre voluto da cinquant’anni di durissima politica “di resistenza” voluta e perseguita ad altissimo prezzo dal “caballo” Fidel, il quale, pur uscito formalmente di scena da anni, è sempre lì, molto più di un’ombra e molto più di un fantasma;

3- Fidel, appunto. Probabilmente la prossima volta che lo vedremo in pubblico non sarà più tra noi; eppure è lui, e lui soltanto, l’unico vincitore di questa partita infinita; ha resistito alla Baia dei Porci, all’isolamento, a decine di attentati, all’embargo più duro della storia del novecento, ha messo continuamente sotto scacco la più grande potenza bellica ed economica del mondo e, alla fine, hanno ceduto loro, gli Stati Uniti, loro si sono arresi, loro hanno detto basta; e questa che ho appena scritto, sia chiaro, non è una celebrazione vetero comunista del regime (il vetero comunista che è in me, al massimo, si limita a sorridere), ma una pura constatazione dei fatti. La ferocia con cui gli esuli anticastristi di Miami hanno accolto la notizia è proprio testimonianza di questo: della vittoria, ancora una volta, del vecchio barbudo che cinquant’anni fa sbaragliò, con un manipolo di rivoluzionari, il regime bananero di Batista.

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