Ottomarzo

Donna nata da altra donna perché è donna ogni sorgente di vita, nell’ovatta dell’infanzia dove niente ha un nome tu già ti chiamavi bambina e già eri fata e principessa.
Già per te si tracciavano confini e si costruivano cancelli e campane di vetro e torri d’avorio e perimetri oltre cui sorgeva un deserto solitario di vergogna e streghe e puttane e scostumate.
Già il tuo ruolo in commedia era porta chiusa alla libertà e spazi divorati e sbranati da altri.
Stai composta, fai a modo, comportati bene, sei una fata, una principessa.
Una bambina.

Donna cresciuta grazie ad altre donne perché è donna ogni scalino dell’animo, diventavi ragazza nel fiorire doloroso dei seni e nel sangue delle tue viscere a macchiarti improvviso la pelle. Ed era rosso, quel sangue, come la vergogna che già tramutava in colpa il gioioso esplodere del corpo e dei sensi.
Così lo sguardo alto e fiero e affamato di mondo e vita si schiacciava in occhi bassi e silenzi, come mosto acido fermentava sensi di colpa che non capivi ma già pesavano come pietre sotto la spada gelida del dovere e delle regole.
Non guardare, ferma, aspetta, non lì, quella è roba da maschi, non provocare, non muoverti, ferma, zitta, aspetta, sogna, sei una fata, una principessa.
Una ragazza.
Una ragazza perbene.

Donna con fremiti di donna, perché è donna il sesso d’ogni brivido, ti scoprivi nel buio e in quel buio che nessuno avrebbe saputo trovavi e legittimavi te stessa tra palpiti inconfessabili. Eri ragazza quando per farti femmina divenisti pelle e farfalla, e nei tuoi fianchi sudati e smaniosi in un grappolo di minuti scopristi che un uomo non avrebbe mai saputo cos’è un corpo, un corpo di donna.
Eri ragazza fatta femmina quando ti fecero bere il vino inacidito che confonde l’amore col possesso, la libertà con l’appartenenza, il gioco col dovere, il tenersi per mano con le catene.
Fallo aspettare e poi datti a lui e a lui soltanto, rispettalo, aspettalo, sopportalo, sei una fata, una principessa.
Una femmina.
Una femmina come si deve.

Donna con grida di donna, perché è donna la sostanza delle urla, eri ancora ragazza quando scoprivi che anche una mimosa è un imbroglio, una truffa, una bugia, che anche una mimosa può farsi catena che stringe i polsi fino a farli sanguinare. E ancora ragazza gridasti fino a graffiarti la gola, ruotando braccia immaginarie nel vuoto per spezzare quelle catene che di notte soffocavano ogni tuo respiro.
Eri ancora ragazza quando versasti lacrime salate come i mari dell’apocalisse, quando lasciando ciò che ti faceva soffrire e chi non ti sapeva né capire né amare dovesti soffrire e strepitare tu per prima, perché ti avevano insegnato che solo tua è la colpa se lui non ti ama né ti capisce.
Non puoi lasciarlo, non sei capace di amare, poverino, l’hai rovinato, l’hai distrutto, non sei più una fata, non sei più una principessa.
Sei una strega.
Una stronza.

Donna con sete di donna, perché è donna il ruggito dell’arsura, eri ancora ragazza quando tornasti alle foreste per riprendere te stessa, la danza primordiale delle baccanti, l’ondeggiare ancestrale dei tuoi fianchi, il tuo eterno mistero uterino. E per riprenderti e tornare donna e una e sola e tua, pagasti il prezzo feroce del giudizio, la paura del mondo che tremando davanti a una donna libera si fa disprezzo, la meschinità del maschio che temendo una donna vera si fa violenza.
Vivi sola, esci sola, pensi sola, vergognati, non sei una fata, non sei una principessa.
Sei una puttana.

Donna che genera figli, perché è donna la potenza che tutto crea e tutto muove, ti abbandonasti finalmente all’amore che non cede ai graffi dei ricatti e, partorendo, fosti in un attimo femmina e madre, fosti luce e buio, fine e principio, abisso e universo. E pur se donna e femmina e madre e ogni cosa che esiste e vive, dovesti lottare sputando sangue e scoramento perché attorno a te non piantassero i paletti che ti volevano madre e solo madre per sempre.
Donna che cresce altri uomini, perché è donna il coraggio di crescere, eri donna e ogni cosa quando trovasti la forza di insegnare agli uomini a non essere più figli, a stringere senza rompere, a dare senza chiedere, ad ascoltare senza parlare.
Donna che cresce altre donne, perché è donna il coraggio di crescere, eri donna e ogni cosa quando trovasti la forza di insegnare alle donne il suono della danza dei fianchi, il sentiero della foresta, le lacrime della libertà, il coraggio dell’indipendenza e il rumore che fa una catena quando si spezza.
Eri donna quando insegnasti alle donne l’infanzia non ha nomi, alza lo sguardOTTOMARZO

Donna nata da altra donna perché è donna ogni sorgente di vita, nell’ovatta dell’infanzia dove niente ha un nome tu già ti chiamavi bambina e già eri fata e principessa.
Già per te si tracciavano confini e si costruivano cancelli e campane di vetro e torri d’avorio e perimetri oltre cui sorgeva un deserto solitario di vergogna e streghe e puttane e scostumate.
Già il tuo ruolo in commedia era porta chiusa alla libertà e spazi divorati e sbranati da altri.
Stai composta, fai a modo, comportati bene, sei una fata, una principessa.
Una bambina.

Donna cresciuta grazie ad altre donne perché è donna ogni scalino dell’animo, diventavi ragazza nel fiorire doloroso dei seni e nel sangue delle tue viscere a macchiarti improvviso la pelle. Ed era rosso, quel sangue, come la vergogna che già tramutava in colpa il gioioso esplodere del corpo e dei sensi.
Così lo sguardo alto e fiero e affamato di mondo e vita si schiacciava in occhi bassi e silenzi, come mosto acido fermentava sensi di colpa che non capivi ma già pesavano come pietre sotto la spada gelida del dovere e delle regole.
Non guardare, ferma, aspetta, non lì, quella è roba da maschi, non provocare, non muoverti, ferma, zitta, aspetta, sogna, sei una fata, una principessa.
Una ragazza.
Una ragazza perbene.

Donna con fremiti di donna, perché è donna il sesso d’ogni brivido, ti scoprivi nel buio e in quel buio che nessuno avrebbe saputo trovavi e legittimavi te stessa tra palpiti inconfessabili. Eri ragazza quando per farti femmina divenisti pelle e farfalla, e nei tuoi fianchi sudati e smaniosi in un grappolo di minuti scopristi che un uomo non avrebbe mai saputo cos’è un corpo, un corpo di donna.
Eri ragazza fatta femmina quando ti fecero bere il vino inacidito che confonde l’amore col possesso, la libertà con l’appartenenza, il gioco col dovere, il tenersi per mano con le catene.
Fallo aspettare e poi datti a lui e a lui soltanto, rispettalo, aspettalo, sopportalo, sei una fata, una principessa.
Una femmina.
Una femmina come si deve.

Donna con grida di donna, perché è donna la sostanza delle urla, eri ancora ragazza quando scoprivi che anche una mimosa è un imbroglio, una truffa, una bugia, che anche una mimosa può farsi catena che stringe i polsi fino a farli sanguinare. E ancora ragazza gridasti fino a graffiarti la gola, ruotando braccia immaginarie nel vuoto per spezzare quelle catene che di notte soffocavano ogni tuo respiro.
Eri ancora ragazza quando versasti lacrime salate come i mari dell’apocalisse, quando lasciando ciò che ti faceva soffrire e chi non ti sapeva né capire né amare dovesti soffrire e strepitare tu per prima, perché ti avevano insegnato che solo tua è la colpa se lui non ti ama né ti capisce.
Non puoi lasciarlo, non sei capace di amare, poverino, l’hai rovinato, l’hai distrutto, non sei più una fata, non sei più una principessa.
Sei una strega.
Una stronza.

Donna con sete di donna, perché è donna il ruggito dell’arsura, eri ancora ragazza quando tornasti alle foreste per riprendere te stessa, la danza primordiale delle baccanti, l’ondeggiare ancestrale dei tuoi fianchi, il tuo eterno mistero uterino. E per riprenderti e tornare donna e una e sola e tua, pagasti il prezzo feroce del giudizio, la paura del mondo che tremando davanti a una donna libera si fa disprezzo, la meschinità del maschio che temendo una donna vera si fa violenza.
Vivi sola, esci sola, pensi sola, vergognati, non sei una fata, non sei una principessa.
Sei una poco di buono.

Donna che genera figli, perché è donna la potenza che tutto crea e tutto muove, ti abbandonasti finalmente all’amore che non cede ai graffi dei ricatti e, partorendo, fosti in un attimo femmina e madre, fosti luce e buio, fine e principio, abisso e universo. E pur se donna e femmina e madre e ogni cosa che esiste e vive, dovesti lottare sputando sangue e scoramento perché attorno a te non piantassero i paletti che ti volevano madre e solo madre per sempre.
Donna che cresce altri uomini, perché è donna il coraggio di crescere, eri donna e ogni cosa quando trovasti la forza di insegnare agli uomini a non essere più figli, a stringere senza rompere, a dare senza chiedere, ad ascoltare senza parlare.
Donna che cresce altre donne, perché è donna il coraggio di crescere, eri donna e ogni cosa quando trovasti la forza di insegnare alle donne il suono della danza dei fianchi, il sentiero della foresta, le lacrime della libertà, il coraggio dell’indipendenza e il rumore che fa una catena quando si spezza.
Eri donna quando insegnasti alle donne l’infanzia non ha nomi, alza lo sguardo, muoviti, non aspettare, vivi, ama te stessa, non sei una fata, non sei una principessa.
Sei una donna.
Sei tua.
E tua soltanto.

#resistenzeRiccardoLestini

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