Il pugno chiuso di Elio Germano

A Venezia, nel senso di Mostra del Cinema, ci sono particolarmente affezionato per motivi del tutto personali. Lì, al Lido in occasione della Biennale, alcuni anni fa ho avuto il privilegio di vivere alcuni dei momenti più intensi del mio percorso artistico.
Senza voler ripercorrere la cronistoria di quei giorni, ricordo ancora oggi come – oltre all’ovvia esaltazione dell’essere lì, la sensazione più forte fosse quella di assoluta irrealtà, come se quel brevissimo tratto di strada dalla stazione di Mestre al Lido fosse una specie di porta per un’altra dimensione.
Di qua c’è il mondo, con i suoi problemi, i suoi casini, i suoi odori e i suoi colori, di là, al Lido, c’è un Eden, uno Zed di rarefazione e sospensione dove esistono solo pellicole, dibattiti, passerelle, notti lunghissime e dove, soprattutto, non c’è posto per il mondo reale.
Ricordo anche che molti mesi dopo, durante un dibattito alla fine di un mio spettacolo, qualcuno del pubblico mi chiese “ma com’è Venezia? che atmosfera c’è?”. E io risposi dicendo proprio che era tutto bellissimo, ma completamente irreale. Dissi che avevo sentito la mancanza di un Micheal Moore.
La mostra, con la cerimonia di premiazione e assegnazione dell’ambitissimo Leone d’Oro, si è conclusa sabato scorso. Il Leone d’Oro è andato allo svedese Roy Anderson, mentre la Coppa Volpi per i migliori attori è andata alla coppia Alba Rohrwacher – Adam Driver, protagonisti del film di Saverio Costanzo.
Premesso che, ovviamente, non ho visto nemmeno uno dei film (in concorso e no), e premesso che mai come quest’anno ho avuto l’impressione di un cartellone di altissimo livello e che quindi sono impaziente di vedermeli tutti, il film che tra tutti sono più smanioso di vedere è Il giovane meraviglioso di Mario Martone, dedicato alla vita dell’immenso Giacomo Leopardi e interpretato da quello che ritengo essere il più grande attore italiano di nuova generazione: Elio Germano.
Nessun premio è andato a questo film. Eppure, al di là della curiosità di capire come sia stato possibile concretizzare cinematograficamente il vago e l’indefinito leopardiani, è rimasta un’immagine forte, controversa e che ha fatto molto discutere: Elio Germano che arriva al Lido in t-shirt con la Settimana Enigmistica in tasca e, soprattutto, che saluta a pugno chiuso.
Lasciamo stare le facili dietrologie in proposito (vedi quanto scritto da Gad Lerner e dintorni), dal momento che il cuore del vero dibattito scatenatosi attorno a questo gesto non è il significato in sé del gesto, quanto se sia opportuno o meno portare all’interno della Mostra del Cinema tali problematiche e tali discussioni.
Personalmente, ho accolto l’immagine dell’arrivo di Germano a Venezia con un gigantesco finalmente!
Ma non mi sono esaltato, da uomo di sinistra, per la “visione” del pugno, né per aver riconosciuto in un attore un compagno di ideologia.
Sono sincero, quando ho visto le prime immagini, il pugno chiuso nemmeno l’ho notato. Il mio “finalmente” era tutto per la maglietta indossata da Elio Germano, quella maglietta nera recante la scritta
ARTISTI 7607
Cosa significa? Di che cosa si tratta? E’ la Cooperativa degli Artisti, nata quasi quattro anni fa su iniziativa di Elio Germano e Neri Marcorè, che ha come assoluta priorità l’autodeterminazione dell’artista, la fine dei monopoli culturali, il ritorno ad una dimensione cooperante, pluralista e collettiva della produzione.
Cerchiamo di spiegarci meglio. Nonostante la liberalizzazione del settore prevista dagli ordinamenti della Comunità Europea, in Italia la produzione culturale (sia essa cinematografica, teatrale, musicale, artistica o letteraria) è appannaggio esclusivo di pochi monopoli pubblici e privati che di fatto finiscono per spartirsi l’intero panorama artistico ostacolando e impedendo la nascita di realtà autonome e alternative.
Non solo, gli stessi monopoli detengono il controllo assoluto sulla entità e sulla distribuzione dei diritti, sia quelli degli autori, sia quelli degli interpreti. La conseguenza è che nel mercato culturale italiano manca completamente una gestione giusta del cosiddetto “equo compenso”, vale a dire i proventi degli artisti maturati tramite lo sfruttamento (ad esempio passaggi radio e tv) di quelle opere di cui sono sia autori, sia fautori, sia interpreti.
Forse qualcuno, a questo punto, starà pensando che sembra abbastanza assurdo parlare, in piena crisi, di problematiche economiche legato al lavoro di personaggi arcinoti come Elio Germano e Neri Marcorè. Sbagliato. Di certo Germano e Marcorè non hanno, almeno attualmente, il problema di arrivare a fine mese, ma quando andate al cinema vi fermate mai a guardare i titoli di coda di un film? Non ci pensate mai che quelle centinaia di persone, dagli attori secondari in poi, che compaiono in quei titoli sono anch’essi lavoratori dello spettacolo? E che la maggior parte di loro sono precari esattamente come i precari di altre categorie lavorative?
Che per i lavoratori dello spettacolo, vista la natura discontinua del lavoro, la principale fonte di sostentamento è proprio l’equa riscossione dei diritti?
E tornando al discorso dei monopoli, ci rendiamo conto che oltre a impoverire sempre più la scena riducendo l’offerta culturale dell’intero paese, moltissime persone sono condannate a non lavorare mai più?
Tornando a Venezia, l’importanza del gesto di Elio Germano sta proprio in questo: nell’aver, finalmente, portato il mondo reale nel “palazzo di cristallo”. Nell’aver lanciato l’allarme di una cultura italiana agonizzante come mai prima d’ora, di spazi di libera creazione inesistente, di teatri lasciati nell’abbandono più atroce, di spartizione mafiosa dei finanziamenti, pubblici e non, di un esercito di precari invisibili e senza alcun diritto.
Allora chiediamoci: le polemiche suscitate per l’arrivo in laguna di Elio Germano, da cosa nascono?
Dallo scandalo del pugno chiuso simbolo dell’atroce comunismo?
Oppure dallo scandalo di aver rovinato la festa? Di aver portato precariato, allarme sociale, cultura inesistente in un mondo dorato fatto di red carpet, feste fino all’alba, gossip e vestiti lustrati?
E chiediamoci soprattutto, cosa vogliamo dal cinema, cosa vogliamo dall’arte?
Che sia lo specchio di un ultramodo irreale e fantastico o che sia lo specchio della realtà, che stia nel mondo, che sia cassa amplificatrice della vita vera?

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