Un poeta di nome Sergio Citti

E oggi abbiamo voglia di parlare di super cinematografo, perciò dopo un mesetto ritorniamo all’universo pasoliniano e affrontiamo uno di quegli artisti che riteniamo sconsideratamente immensi e importanti per tutta la storia della settima arte. E non solo.

Pochi lo sanno e soprattutto pochi lo ricordano, ma Pasolini, che secondo noi è stato il più importante e decisivo intellettuale italiano del secondo novecento, nel suo pazzesco percorso artistico tra cinema e letteratura e teatro e chi più ne ha più ne metta, ebbe un maestro, un maestro così importante e decisivo che, se non l’avesse incontrato, la sua storia di scrittore e regista non sarebbe certo stata la stessa.

Nel 1949 Pasolini, dopo il celebre “scandalo di Casarsa” (il processo per corruzione di minori e la cacciata dalla scuola e dal PCI per la sua omosessualità), si trovò costretto ad abbandonare il suo Friuli e a trasferirsi a Roma.

Chi conosce Pasolini lo sa: senza Roma Pasolini non sarebbe stato Pasolini. L’incontro con le borgate, con la Roma vitale e disperata del tempo, con il mondo violento e purissimo del sottoproletariato romano, fu il perno centrale della sua narrativa (Ragazzi di vita, Una vita violenta, Alì dagli occhi azzurri) e del suo esordio al cinema (Accattone, Mamma Roma, La ricotta, la sceneggiatura de La commare secca, film d’esordio di un appena ventunenne Bertolucci)

Ma il borghese Pasolini, appena arrivato a Roma e rimastone folgorato, avrebbe continuato a guardarla con gli occhi incantati e sognanti di un esterno. Se non avesse avuto una guida, un Virgilio che lo conducesse per mano dentro i gironi danteschi delle baracche delle borgate, non ne avrebbe mai colto l’essenza, non l’avrebbe mai vissute nel senso più pieno del termine.

E il Virgilio di Pasolini non fu un altro poeta dal nome altisonante, non fu un grande vecchio dell’olimpo intellettuale.

No, fu un ragazzo di borgata, un ragazzo di vita conosciuto casualmente durante i tuffi nel Tevere, un giovane appena uscito dal riformatorio, quasi analfabeta.

Fu Sergio Citti.

Il rapporto tra Citti e Pasolini fu qualcosa di incredibile e meraviglioso, una doppia rivelazione, una doppia epifania. Uno di quei rari casi in cui uno è maestro dell’altro al punto da annullare i confini tra i due ruoli.

Pasolini fece scoprire a Citti la poesia, la letteratura e il cinema. Soprattutto, il cinema. Di Citti, di quel ragazzo di vita fresco di riformatorio, seppe cogliere l’impressionante vocazione artistica, tutta la genialità inespressa che portava dentro.

Citti, viceversa, svelò a Pasolini la poesia delle borgate, gli raccontò la Roma più vera col suono dolce e violento delle ottave dei cantastorie. E, soprattutto, gli insegnò la vera e autentica lingua dei poveri.

Se film come Accattone e Mamma Roma sconvolgono per la loro verità, tale autenticità impressionante la dobbiamo tutta a Sergio Citti.

Al maestro e poeta Sergio Citti.

Sì, poeta. Un poeta della macchina da presa.

Dopo un apprendistato lungo e intenso (fu accanto a Pasolini in veste di collaboratore ai dialoghi, aiuto regista e co-sceneggiatore praticamente in tutti quanti i suoi film), esordì alla regia nel 1970 con un film lirico e spietato, il bellissimo Ostia.

A quell’esordio meraviglioso seguirono molte altre splendide prove di regia, film sempre diversi, originali, sorprendenti, sempre interpretati da attori clamorosi.

Solo un poeta come Citti poteva girare un film come Casotto (1977, con attori del calibro di Gigi Proietti, Jodie Foster, Michele Placido, Ugo Tognazzi, Mariangela Melato), interamente ambientato in una cabina della spiaggia libera di Ostia, microcosmo geniale di una borghesia in pieno disfacimento.

Solo un poeta come Citti poteva dar vita a Mortacci (1989), picaresco poema sulla vita dopo la morte.

Solo un poeta come Citti poteva vivere una vita accanto a Pasolini e non sentirne il peso, ma viverla al contrario con leggerezza, non cercare di imitarlo e trovare un registro stilistico ed espressivo completamente proprio e originale.

Oggi i film di Citti, scomparso nel 2005, giacciono lì, dimenticati e abbandonati, ripescati ogni tanto dalle programmazioni notturne.

Non sarebbe male, ogni tanto, ricordarsi degnamente di questo poeta. E dei capolavori che ha saputo produrre.

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