Il premio Nobel e Roberto Vecchioni

Ora che il Premio Nobel 2013 per la Letteratura è stato assegnato (l’ha vinto la canadese Alice Munro, che non conosco a fondo ma mi sembra lo stesso un buon segno: è una donna, scrive per lo più racconti brevi – sarà ora di rivalutarla questa forma letteraria, no? – e vive lontano dai riflettori) posso sfogarmi.
Più precisamente posso – finalmente, idealmente e beatamente – mandare a quel paese quella vastissima schiera di illustri eruditi accademici italiani che, fuor di metafora, non esito a definire una pericolosa banda di esimie teste di cazzo laureate.
Tutti quegli illuminati studiosi che, in sostanza, hanno passato le ultime due-tre settimane a scandalizzarsi per la presenza – nel novero dei candidati italiani al Nobel – di Roberto Vecchioni.
A parte il fatto che, come per tutti gli altri premi, anche nel Nobel funziona che c’è un lotto di candidati e tra questi candidati ci sono i favoriti, gli outsider e gli improbabili, e Vecchioni – almeno per quest’anno – era, ahimè, tra gli improbabili. A parte questo, dico, ma perché? Lasciando stare che dovrebbe essere motivo d’orgoglio per tutti noi italiani (un orgoglio ogni tanto, mondiali a parte, concediamocelo che cazzo….) avere un italiano candidato al Nobel, ripeto, ma perché? Perché scandalizzarsi? Di cosa scandalizzarsi? Dov’è l’eresia?
Lo scandalo, l’eresia, starebbe nel fatto che Vecchioni è un “semplice” autore di “canzonette” e per questo “indegno” di assurgere alle vette celesti dell’Olimpo letterario?
Ma, cari illustri eruditi accademici italiani (o pericolosa banda di esimie teste di cazzo), vi dico solo una cosa: le vette celesti dell’Olimpo letterario, non esistono. Non esiste nemmeno l’Olimpo letterario. Sono vostre invenzioni che, come unico risultato, hanno avuto quello di riempire i libri di polvere, di togliere la vita, il sangue e il respiro alla poesia. La poesia, cari, esiste solo nel fango delle strade del mondo, nel sangue cattivo degli ammalati, nelle bellezze banali del quotidiano (“dai diamanti non nasce niente/ dal letame nascono i fior…”, ma che ve lo dico a fare? anche l’autore di questi versi scriveva “canzonette”). E meno male, aggiungo, che ci siano ancora artisti giganteschi come Vecchioni che riescono a comunicarcelo.
Non ho altro da dire, davvero.
Non starò qui a fare l’esegesi della poetica di Vecchioni, né a parlarvi della complessità filosofica e letteraria dei suoi versi. E non vi parlerò nemmeno del miracolo di comunicare tale complessità con le parole più semplici dell’universo. E nemmeno vi dirò di come le più antiche forme poetiche, l’epica greca o la poesia provenzale, dovevano il loro successo alla meravigliosa alchimia tra parole e musica.
Non vi dico tutte queste cose perché non ce n’è bisogno, le sapete già. Le sapete benissimo, e la vostra polemica contro Vecchioni non è dettata da reali ragioni di gusto o di estetica. E’ solo e unicamente malafede. La malafede di chi ha costruito un’élite inaccessibile fatta di carta e polvere, scaraventando la letteratura a una distanza siderale dalla gente e, di conseguenza, vuol fare a pezzi chiunque riesca a riavvicinarla.
Restateci, nella vostra élite, nella vostra polvere accademica. Ammuffite, incartapecoritevi. La poesia, quella vera, per fortuna, nelle strade del mondo vive e resiste ancora. Oltre e nonostante voi.

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