Di Maio alle grandi manovre

DI MAIO ALLE GRANDI MANOVRE

Che il Movimento Cinquestelle abbia (stra)vinto le elezioni è indubbio e chiaro a tutti.

La questione, semmai, visto il grande rebus circa la formazione di una maggioranza, è come capitalizzare al massimo questo successo.

Di Maio e i suoi, al momento, tengono un profilo molto basso. Dalla loro hanno un bottino di voti clamorosamente superiore a quello di qualsiasi altra forza politica, il che gli regala per forza di cose una posizione di assoluto privilegio nelle grandi e complicatissime manovre di questi giorni.

Vista la loro posizione centrale e imprescindibile, possono permettersi di stare alla finestra in attesa che Mattarella faccia la prima mossa e che le altre forze escano allo scoperto.

Inutile, e stupidamente rischiosa, sarebbe qualsiasi altra strategia. Almeno per ora.

Resta il fatto che il quadro generale è così complesso e ingarbugliato da rendere strettissimi (e molto scivolosi) gli spazi di manovra, anche (soprattutto?) per i vincitori. E il rischio che tutto possa trasformarsi in una vittoria di Pirro è tutt’altro che remoto.

Ma quali sono in concreto gli scenari possibili e le possibili manovre per il Movimento Cinquestelle?

1.In questi giorni si è parlato continuamente, e si continua a farlo, di una convergenza e di un appoggio del PD a un ipotetico governo Cinquestelle, soluzione indicata (e invocata) da più parti come la più logica, sensata e auspicabile.

Anche il richiamo di Mattarella alla “responsabilità” sembra andare in questa direzione. Un messaggio non tanto a tutte le forze politiche ma, tra le righe, un invito specifico al solo PD a mettere da parte rancori e divisioni in nome della stabilità del paese.

Una strada però tutt’altro che in discesa e tutt’altro che priva di insidie.

Prima di tutto, se ci sarà davvero una convergenza, con quale formula e a quali condizioni?

Esclusa, perché irrealistica, un’alleanza a tutti gli effetti, resta l’idea di un PD in appoggio esterno, ovvero un governo Cinquestelle di minoranza.

Ma un governo di minoranza, per sua stessa definizione, è fragile e privo di pieni poteri, con buone probabilità di avere vita molto breve. Non esattamente il massimo in un momento in cui il paese necessita soprattutto di stabilità e di un esecutivo nel pieno delle sue funzioni.

Inoltre, su quali basi specifiche nascerebbe l’accordo? Ci sono punti assolutamente cruciali su cui i due partiti sono, e resteranno, profondamente divisi. A partire da quel reddito di cittadinanza, vero e proprio simbolo del successo Cinquestelle e fortemente osteggiato dal PD. Ma penso anche alla Buona Scuola, di cui il Movimento ha promesso lo smantellamento. Difficile credere che il PD, che di quella riforma è l’artefice, contribuisca a cancellarla.

Con tutto che, anche mettendo da parte le distanze, restano comunque gli elettori dei rispettivi partiti cui rendere conto, spiegare e far accettare una convergenza completamente al di fuori delle logiche della campagna elettorale.

Un problema questo soprattutto per Di Maio, visto che, qualunque cosa si pensi a proposito, è indubbio che il Movimento sia l’unico partito ad avere ancora una base concretamente presente, attiva e partecipe (quel paradosso evidenziato da Grillo nel corso del comizio conclusivo: nato come non partito, ha finito per essere l’unico vero partito rimasto).

Sono cinque anni che il Movimento Cinquestelle ha il PD come bersaglio principale dei suoi attacchi. E la campagna elettorale non solo non ha fatto eccezione, ma ha rincarato la dose: anche quando i sondaggi mostravano chiaramente come il grande competitor del Movimento fosse il centrodestra, Di Maio e i suoi hanno continuato ad attaccare soprattutto il PD, a vedere nel PD una sorta di “male assoluto”, il partito dei protettori delle banche e dei nemici dei risparmiatori, il partito che ha distrutto scuola e lavoro, il partito della corruzione e degli inciuci con i poteri forti.

Come spiegare adesso a una base tutt’altro che silenziosa che il partito da abbattere, il nemico numero uno, di colpo diventi l’indispensabile sostegno di un governo pentastellato?

Il rischio di perdere credibilità e consensi, andando in questa direzione, è ovviamente molto più che concreto.

Problema praticamente identico sulla sponda opposta. Nel discorso delle surreali dimissioni/non dimissioni di Renzi, c’è comunque un passaggio assolutamente logico e difficilmente attaccabile. Lasciando stare i toni, ha ragione Renzi quando dice che sarebbe abbastanza assurdo sostenere il governo di chi da anni ti indica come simbolo dello sfracello economico e sociale del paese.

E, al di là dell’illogicità di fondo di una simile operazione, resta un discorso di puro calcolo politico.

L’analisi dei flussi elettorali dimostra in maniera inequivocabile come la maggior parte dei nuovi voti ottenuti dal Movimento, provengano proprio dal PD. Di conseguenza, se il PD si allinea sulle posizioni dei Cinquestelle sostenendone la linea, rischia seriamente l’estinzione.

Potrebbe perciò negare l’appoggio proprio per questioni di sopravvivenza politica, provando a risollevarsi e a ricostruirsi in quanto alternativa.

2.Molto meno si parla di una possibilità di apertura di Di Maio verso destra.

Anche l’ipotesi tanto caldeggiata (e temuta) di un governo Lega-Cinquestelle, sembra allontanarsi ogni giorno di più.

Forse perché gli spazi di manovra, in questo caso, sono ancora più stretti.

Esclusa ogni ipotesi di trattativa con Forza Italia, esclusa (per indisponibilità totale dei diretti interessati) una convergenza con Fratelli d’Italia, affinché Di Maio si sieda a un tavolo con Salvini dovrebbe prima di tutto implodere e spaccarsi la coalizione di centrodestra. E questo non è, al momento, nell’interesse di nessuno.

Certo non è nell’interesse di Berlusconi, visto che l’unica possibilità di sopravvivenza politica è quella di restare agganciati alla Lega. Ma non è nemmeno nell’interesse di Salvini: è vero che il leader leghista avrebbe la certezza, con un patto con il Movimento, di portare sé stesso e i suoi al governo, ma dovrebbe accettare di passare da leader indiscusso di tutta una coalizione al ruolo (vista la differenza abissale di numeri tra i due partiti) di “segretario” di Di Maio.

Ma anche qualora si decidesse di procedere in questo senso, anche in questo caso rimarrebbero profonde divisioni, se non addirittura complete incompatibilità, a dividere i due partiti su temi cruciali. Ancora il reddito di cittadinanza, a cui si aggiungerebbero immigrazione e flat tax.

E di nuovo Di Maio avrebbe il problema della base cui rendere conto, forse in maniera ancora maggiore che per un accordo con il PD. Le solite analisi sui flussi di voto ci dicono infatti che l’elettorato Cinquestelle digerirebbe molto peggio un accordo con la Lega.

3.Resta l’ipotesi, anche questa molto difficile, di un governo che tenga fuori Di Maio e la sua truppa relegandoli all’opposizione.

Improbabile anche solo per dei semplici calcoli numerici, ma soprattutto perché probabilmente la presenza dei Cinquestelle all’opposizione non converrebbe a nessuno.

L’opposizione, tenerli fuori gioco con questi numeri, li rafforzerebbe ancora di più. E le prossime elezioni, che comunque si evolva la situazione dobbiamo immaginare ci siano molto presto, potrebbero davvero risolversi in un trionfale plebiscito a loro favore.

A chi tocca la prossima mossa?

#specialeElezioni2018

#resistenzeRiccardoLestini

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