Addio Lou

Per una di quelle strane e insondabili coincidenze della vita, avevo appena finito di parlare di lui. A proposito del mio libro appena uscito, dicevo come il periodo dei miei 15-16 anni fosse stato il più importante, il più determinante per la mia, chiamiamola così, ‘formazione culturale’. Il periodo in cui si è formata la ‘biblioteca della vita’, in cui ho letto i libri e ascoltato i dischi che non mi avrebbero abbandonato mai.
L’anno in cui spuntarono tutti assieme Rimbaud e Baudelaire, Pavese e Montale, Pasolini e Garcia Marquez, Kerouac e Ginsberg. L’anno in cui spuntò fuori anche Lou Reed, il poeta Lou Reed.
All’inizio fu una musicassetta che mi aveva fatto un amico del liceo, di due anni più grande di me. “Se ti piacciono i Doors, questa roba qui ti farà saltare il cervello….”, aveva detto dandomi la cassetta. Sul lato B c’era un mix di psichedelia californiana, Jefferson Airplane su tutti. Sul lato A una selezione meravigliosa dei Velvet Underground.
Li conobbi così, i versi di Lou Reed. Dal lato A di quella cassetta ascoltata e riascoltata fino a consumarla e a romperla. Poi venne la passione, la collezione dei cd, i Velvet, Andy Warhol, la scoperta della New York degli anni ’60, quella follia che fu l’Exploding Plastic Inevitable, la carriera da solista, Walk on the Wild Side, David Bowie, gli anni ’70, la poesia di Berlino, le canzoni per Wim Wenders, fino alla sera in cui sbarcò a Firenze, al teatro Verdi, e mi regalò emozioni impossibili da raccontare.
Per il resto, ho poco altro da dire.
Solo che gli sono debitore, smisuratamente debitore, perché anche sui suoi versi, ho capito e imparato cosa volesse dire essere un vero poeta.
E che al di là di tutto, al di là di tutte le etichette che si possono spendere oggi (“padre del rock”, “poeta maledetto”, “cantore del lato oscuro”), per me Lou Reed resta prima di ogni cosa un uomo puro. Puro quando con la delicatezza di un bambino canta di un ‘giorno perfetto’, puro quando con la brutalità d’un uomo massacrato dalla vita parla dell’inferno dell’eroina. Puro quando con ironia scherza su un ‘vizioso’ che ‘lo colpisce con un fiore’, puro quando regala struggenti versi d’amore alla voce miracolosa di Nico.
Puro, senza niente altro da aggiungere.
Così puro che ancora non ci credo, che se ne sia andato. Che mi viene da dire: ma è vero Lou o è un’altra tua beffa?
In fondo, caro Lou, ti hanno dato per morto così tante volte che non mi stupirei se oggi, d’improvviso, saltassi fuori col tuo inconfondibile sorriso graffiato e, senza darci spiegazioni, imbracciando la chitarra, ti mettessi a cantare “waiting for my man…”.
Noi, di sicuro, continuiamo ad aspettarti.
Ciao Lou.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *