Il punto

Prima di tutto, occorrerebbe chiarirsi sulla dicitura ‘Terza Repubblica’. Nel senso: se ne parla come un dato di fatto, come una potenza ormai in atto, addirittura si progettano listoni e listini con nomi che ammiccano a questa nuova era della politica italiana.
In realtà è, anzi ‘era’, soltanto un’ipotesi, un sogno. Perché per traghettare un paese da una repubblica all’altra servono novità sostanziali, non necessariamente costituzionali, ma almeno nel sistema di voto e conseguente rappresentanza. In Francia, che in quanto a repubbliche ne contano già cinque, ne sanno qualcosa. A parte le prime due (la gloriosa république di Danton e Robespierre del 1792 e l’altrettanto gloriosa ‘primavera dei popoli’ del 1848), incastonate in rigurgiti monarchici, reazioni borboniche e deliri imperiali, la terza nacque dalle ceneri della battaglia di Sedan tra Napoleone III e il Bismarck, e per renderla stabile e democratica fu necessario passare per il bagno di sangue della Comune, la quarta fu pretesa dalla Resistenza post occupazione tedesca e fu sancita da una nuova costituzione mentre, infine, la quinta, sancì il passaggio dalla democrazia parlamentare al semipresidenzialismo.
In Italia, la seconda repubblica (1994) sancì il passaggio dal proporzionale al maggioritario. In questi mesi, si è parlato di Terza Repubblica proprio in virtù della nuova legge elettorale, costantemente e incessantemente richiesta da Napolitano, annunciata come imminente per almeno un anno. Poi, come sappiamo, ogni trattativa in proposito è saltata e qualsiasi progetto di nuova legge elettorale se n’è andato in soffitta. A febbraio (febbraio?) voteremo col porcellum e, almeno in teoria, addio Terza Repubblica. Dico in teoria, perché in pratica tutte le forze in campo continuano invece a parlare di Terza Repubblica. Se però intendiamo il passaggio come un rimescolamento degli schieramenti in campo, la scomparsa di vecchi soggetti e la nascita di nuovi, allora forse la dicitura regge. Anche perché a tutt’oggi, sessanta giorni circa al voto (sembra quasi certo, ormai, che si andrà alle urne il 24 febbraio), la situazione schieramenti e forze in campo è molto più che complicata, scissioni e accorpamenti si susseguono di ora in ora, ogni giorno pare nascere una nuova lista. Un groviglio in cui orientarsi è davvero difficile (i miei studenti diciottenni che andranno a votare per la prima volta sono completamente smarriti).
Proviamo allora a fare il punto della situazione.
1. Partiamo da destra. Quello che sta accadendo da quelle parti è molto simile a un dramma beckettiano dell’assurdo. Tutti si separano, ognuno sembra avere in mente la sua nuova lista personale (Fratelli d’Italia, Destra Popolare, Italia Popolare….), ma tutti al tempo stesso restano insieme, parlano di federazione, alleanza preelettorali, accordi postelettorali, ma poi tornano di nuovo a dividersi e a fondare nuove correnti, nuovi soggetti, a contare e a ricontare il proprio seguito. La Russa lascia il PDL e fonda una ‘cosa’ di destra che però si alleerà con il PDL, Gasparri resta con il PDL però litiga con La Russa, però poi fanno pace perché sono amici dai tempi in cui sprangavano quelli di Lotta Continua e mettere fine ad un’amicizia così solo per una scissione che poi finisce in federazione è un vero peccato. Nel frattempo la Meloni (che somiglia sempre più a Rita Pavone) fonda un’altra ‘cosa’ di destra, dichiara guerra a tutti, la Mussolini la insulta, però poi fa pace con La Russa, forse fondono le due ‘cose’ ma forse anche no. Alemanno non ha ancora deciso, mentre Storace si tiene stretto la sua destra.
2. Ma mentre nel tempo d’una farfalla nascono e muoiono vecchi e nuovi pezzi di destra, non è chiaro cosa ne sarà del PDL. Anche se le ‘cose’ di La Russa e Meloni dichiarano di federarsi al PDL, non è per niente chiaro nemmeno cosa sia, oggi, il PDL. In teoria sarebbe il partito nato dalla celebre svolta del Predellino tesa ad unificare il centrodestra. In pratica è un qualcosa, pare, destinato a dissolversi: l’uscita di Meloni, La Russa e un’altra nutrita schiera di ex AN, spiana la strada a una (ri)trasformazione del PDL nella Forza Italia che fu, ma – dice il patriarca Berlusconi – con un nuovo nome e, soprattutto, nuovi soggetti. Almeno l’80 per cento di facce nuove. Per quanto mi riguarda è chiara solo una cosa: quel che sta accadendo oggi è la testimonianza di quanto andiamo ripetendo da vent’anni. E cioè che il PDL, o Forza Italia che dir si voglia, non è un partito, ma un’azienda tenuta insieme esclusivamente dal suo padre e padrone, di grandi interessi dello stesso despota e da un groviglio di piccoli interessi di tutti i suoi adepti. Era chiaro che, col declino del tiranno, si assistesse a un simile tsunami.
3. Berlusconi, appunto. (Ri)scende in campo, per la sesta volta. Imbarazzante, impresentabile, grottesco, tragico, folle. Eppure lì. Sempre lì, ancora lì, a sventolare la bandiera del nulla, a esibire la volgarità oscena dell’Italia che rappresenta, a sbandierare la violenza becera come unico linguaggio conosciuto. Io dico: attenzione, Berlusconi quasi sicuramente stavolta non vincerà, ma potrebbe non perdere. Attenzione lo dico alla stampa straniera: quest’attacco frontale contro di lui è senz’altro giusto e sacrosanto, ma non giova. La storia insegna che gli attacchi a testa bassa, specie dall’estero, lo fortificano. Attenzione lo dico a Bersani e al PD: non incentriamo la campagna elettorale sul suo fantasma, lo renderemo più forte. È ormai chiara, manifesta e pluriprovata la totale incapacità di Berlusconi nel governare. Ma questo non basta, non è mai bastato. Gli italiani sono tremendamente inclini nel cedere alle fesserie, alle frivolezze, alle barzellette. È proprio su questo che Berlusconi ha costruito il suo impero, sulla mancanza di serietà (e di memoria) di una larga fetta di italiani. Per tre volte è andato al governo grazie a sparate iperboliche e ad abili buffonate (il milione di posti di lavoro del 1994, il Ponte sullo Stretto e il contratto con gli italiani nel 2001, la riduzione delle tasse dal 32 al 23%). Anche le due parentesi (tragiche entrambe, per motivi diversi) del centrosinistra targato Prodi ebbero luogo soprattutto in virtù della delusione verso Berlusconi. In sostanza: il peggior politico della storia d’Italia è stato il grande incantatore delle ultime cinque campagne elettorali, macinando consensi e punti percentuali a suon di scemenze. Per cui ripeto: attenzione, c’è una fetta d’Italia ancora disposta a votarlo, ancora pronta a ricascarci. E ripeto ancora: se anche non vincerà, potrebbe non perdere, prendere cioè una percentuale importante al punto da impantanare l’intera macchina della prossima legislatura.
4. Dov’è Angelino Alfano? Che fa? L’unico partito che fa ancora il suo nome come ipotetico candidato premier del centrodestra è la Lega. Che si alleerebbe con il PDL (ma quale PDL?) soltanto se il candidato premier fosse Alfano. Con Berlusconi, invece, andrebbe da sola. Ma la Lega pare disposta a tutto pur di avere la regione Lombardia. Anche a barattare quella poltrona con una riedizione del vecchio asse Lega-Berlusconi. In ogni caso, assicura Maroni, qualunque cosa accada, loro ce l’hanno sempre duro.
5. Monti. In questo caso, io sto con D’Alema. Anche per me una sua eventuale candidatura, un’eventuale creazione di una lista ‘Per Monti’, sarebbe quantomeno moralmente discutibile. Nominato senatore a vita ad hoc, proprio per assumere la guida d’un governo tecnico d’emergenza nazionale, bipartisan, con un sostegno trasversale e una maggioranza innaturale, svestendo repentinamente i panni del tecnico per quelli del politico, contraddirebbe tutto questo. E non sarebbe un bel percorso, quello del professore. Eppure, una diffusa smania di ‘centrismo’, fa sì che – caos della destra a parte – sia proprio attorno al nome di Monti che si vada radunando e costituendo la galassia più composita di liste e listarelle vere e presunte. L’Udc di Casini, Fli di Fini, la società civile con i cattolici delle ACLI, i sindacati con la Cisl, Montezemolo. Più, in offerta speciale, una serie di esuli pentiti dal PDL e dintorni. Forse a sostegno di Monti ci saranno tre liste, forse due, forse una unica. Tuttavia Monti non ha ancora ufficializzato la sua ‘discesa in campo’. Ma, sono pronto a scommetterci i soldi che non ho, lo farà. Quel che invece è davvero oscuro è quale sia il programma di questa ‘cosa’ di centro, quale orientamento, quale scala di valori, quali priorità in agenda possa avere questo schieramento. E, soprattutto, che significato preciso attribuiscano alla parola ‘moderato’.
6. Grillo. Non sono mai stato tenero con l’ex comico che quando era comico non mi faceva ridere e che adesso che comico non è più spesso mi fa sbellicare. Anni fa, se mi avessero chiesto di collocare il comico Grillo in un’area politica, non avrei avuto dubbi e avrei risposto a sinistra. Oggi dico che i modi e il linguaggio di Grillo sono puramente fascisti. Al di là del populismo e del vaffanculismo, e al di là pure della pochezza disarmante e della vacuità del ‘programma’ del M5Stelle, nello stesso Movimento Grillo si comporta da padrone berlusconiano, ponendo e disponendo, dettando legge e sottoponendo i dissidenti a vere e proprie epurazioni. Non solo. Le sue ‘parlamentarie’ sono state farse in piena regola. Perché io posso pure credere alla buona fede di tutta quanta l’operazione. Ma, prima volta nella storia, delle votazioni ufficiali non possono essere sottoposte a riscontri da parte di terzi. Tutto on line e tutto interno nemmeno al Movimento, ma solo agli scrutatori. Chi sono questi scrutatori? Perché se chiedo un riscontro nessuno mi risponde? Dove sono i garanti? Nel ‘credo’ di Grillo, il ‘basta con la vecchia politica’ implica anche un ‘basta con le cose serie’? Insomma, in due parole: non bastava Berlusconi?
7. Ci sono anche gli ‘arancioni’. Ingroia, De Magistris, forse Di Pietro. Reduci della stagione dei girotondi come Ginsborg e una buona fetta dell’ex Sinistra Arcobaleno, Verdi, Comunisti e Rifondazione. È un’operazione che sinceramente non ho capito. E non parlo di De Magistris o Di Pietro, che hanno una storia molto diversa dalla mia. Parlo degli amici e compagni di tante battaglie del decennio scorso, dallo stesso Ginsborg a Ferrero. A questi miei vecchi compagni vorrei dire: attenzione, questa storia odora troppo di giustizialismo. Cosa c’entra con noi? I girotondi, caro prof., erano altra cosa e altra storia…
8. Ci sono tanti motivi che mi portano seriamente a ritenere il PD e Bersani non tanto l’unica alternativa, quanto l’unica proposta seria attualmente presente nell’intero panorama politico. Prima di tutto il PD è l’unico partito vero, nel senso più nobile del termine, dove il ‘noi’ è ancora l’unica legge e dove ‘l’io’ è l’unico veto. In questo clima incandescente di antipolitica devastante, fatto di quintali di grida rauche e di zero contenuti, di attacchi ciechi al ‘sistema’, il PD è stato l’unico soggetto politico in grado di rinnovare e rinnovarsi, organizzando delle primarie serie e dimostrando di essere veramente contro la scandalosa legge elettorale, aggirandola con delle ‘vere’ parlamentarie. Infine, in questa imperante schizofrenia alla ricerca ossessiva di posti da occupare, liste da creare e schieramenti da costruire, il PD mantiene la sua linea. Le sue proposte. Il suo programma. Chiaro e intelligibile. E scusate se è poco.

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