Visto che è Natale

Visto che è Natale (o quasi), mettiamo da parte i veleni attuali per lasciare spazio a considerazioni di più ampio respiro.
Oggi, scrivendo di musica e storia e complice soprattutto un documentario visto nella prima mattinata, ho ripensato molto a quel remoto 1992, quando – mentre la mia quinta ginnasio scivolava via tra amori non dichiarati, ritagli della rivista “Cuore”, colazioni a base di Doors e Bob Dylan, “On the road” nello zaino e gli impossibili aoristi greci da studiare – la Prima Repubblica prese a sgretolarsi alla velocità della luce, a partire dalla tangente del ‘mariuolo’ Chiesa fino alla fuga ad Hammamet di Craxi. In quei circa venti mesi in cui si consumò il funerale della Prima Repubblica (marzo 1992 – dicembre 1993) – come sempre in questi momenti di grande stravolgimento – la Storia schizzava via alla velocità della luce, ci passava attraverso come un vortice implacabile. Certo, ricordo, ci sentivamo spettatori (e a volte pure protagonisti) di qualcosa di epocale, ma non potevamo – ovviamente – leggere ‘storicamente’ quegli eventi. Eravamo troppo occupati a viverli.
Oggi, vent’anni dopo, siamo forse in grado di azzardare una prima storicizzazione. Ecco allora posso dire che se oggi dovessi indicare, in quei venti mesi, un momento ‘x’, un giorno simbolico in cui indicare il passaggio effettivo dalla Prima alla Seconda Repubblica, indicherei il 23 maggio 1992, giorno del tragico attentato al giudice Falcone e alla sua scorta. Non tanto per l’immensa carica emotiva che ancora quelle immagini spaventose sono in grado di evocare. E nemmeno perché fu con quell’attentato, in cui la Mafia lanciava un micidiale avvertimento al sistema di potere che sarebbe venuto dopo, che ci rendemmo conto che la Prima Repubblica e il vecchio sistema di partiti non esistevano più.
Quel che mi fa indicare il 23 maggio come data simbolo è un evento ‘secondario’ legato a quel giorno funesto. Alle 20,40 circa, al termine del telegiornale ovviamente quasi per intero dedicato a Capaci, su Rai Uno comparve il faccione – con tanto di occhiali a goccia stile Mike Bongiorno – del giovane Fabrizio Frizzi, presentatore di “Scommettiamo che”, programmone nazionalpopolare dell’epoca. Con quell’aria rassicurante da assistente universitario non in carriera, il buon Frizzi diceva che sì, si erano interrogati se fosse opportuno andare in onda visto quanto accaduto qualche ora prima, ma che poi non gli era sembrato giusto nei confronti di chi aveva lavorato così tanto all’ultima puntata, e soprattutto non sembrava giusto nei confronti del pubblico che li seguiva da ben NOVE SETTIMANE. Quindi, via con lo show. Via con le musichette, con le minchiate, con le ballerine, con i miliardi regalati, con le battutacce da sabato sera. Via con tutto questo, anche se – assicurava Frizzi – ‘senza ovviamente dimenticare la tragedia avvenuta e l’orrore che proviamo come cittadini’. Seguì applauso scrosciante del teatro. In Italia siamo bravissimi a lavarci la coscienza con gli applausi scroscianti. Dopo l’applauso via con la festa. E chissenefrega se il paese è stato appena messo in ginocchio dalla mafia.
Ecco. Io credo che la telecrezia che ha determinato la Seconda Repubblica abbia messo la sua bandiera definitiva sul nostro paese proprio quella sera, quando milioni di persone vergognosamente videro l’ultima puntata di “Scommettiamo Che”. Che l’idiozia e la cretinaggine imperanti abbiano vinto quella sera.
I vent’anni successivi, di quella sera, sarebbero stati il degno suggello.
Se mi devo augurare qualcosa per la Terza Repubblica, visto che è Natale e qualcosa al vecchio in barba bianca (Babbo Natale eh…non Marx) si deve pur chiedere….ecco, mi auguro e chiedo che nasca in maniera più seria e dignitosa.
Buon Natale a tutti.

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