Pestaggi e lacrimogeni ministeriali (per farla finita con l’indignazione)

Mercoledì nelle piazze di mezza Italia, in misura e gravità variabile, si è riproposto per l’ennesima volta il solito, vecchio (scontato?) copione delle cariche indiscriminate da parte delle forze dell’ordine e dei pestaggi contro manifestanti sostanzialmente inermi e pacifici.
Un copione talmente trito e ritrito che non ne avrebbe sicuramente parlato nessuno, se non fosse stato ravvivato dall’inatteso e spettacolare coup du théâtre dei lacrimogeni di via Arenula, lanciati direttamente dalle finestre del ministero. Chapeau, verrebbe quasi da dire agli ‘sceneggiatori’ dell’impresa, agli ideatori di questo nuovo, impensabile, effetto speciale.
Ai ragazzi protagonisti delle piazze, vittime dei pestaggi, vorrei semplicemente dire (senza alcun paternalismo o predica da professore) di stare attenti, di andare in piazza più pronti e responsabili, di organizzare servizi d’ordine degni di questo nome, di non scambiare mai – anche nelle situazioni più pacifiche, festose e tranquille, una manifestazione per una scampagnata.
A tutti gli altri invece, vorrei dire: per favore, basta con l’indignazione. Basta con questa indignazione. Oltre che stucchevole e ridicola, è assolutamente inutile.
La solita indignazione italiana a caldo, dove nello spazio di pochi giorni concitati e convulsi tutti sbraitano, piangono, si graffiano la gola promettendo vendetta-tremendavendetta, promettendo battaglia e che, soprattutto, mai più accadrà una cosa simile.
La solita indignazione italiana, dove nello spazio degli stessi pochi giorni concitati e convulsi tutti improvvisamente si svegliano e pongono domande come se tutto accadesse per la prima volta, dove tutti improvvisamente si chiedono come sia possibile, dove tutti improvvisamente si chiedono perché non si prendono misure per evitare che tutto questo accada.
La solita indignazione italiana pronta a spegnersi e a dimenticare (e a rinnegare) nello spazio di un niente.
Per cui oggi si postano e si twittano frasi infuocate, foto di ragazzini di sedici o diciassette anni pestati dai poliziotti, occhi tumefatti e volti sfigurati. Occhi e volti che domani si dimenticheranno, discorsi che domani si spegneranno fino alla prossima manifestazione, fino alla prossima carica, fino alla prossima sospensione dello stato di diritto. Per questo dico che invece che pubblicare post lacrimevoli e foto di sicuro impatto emotivo, bisognerebbe dire che non c’è niente di nuovo sotto il sole, che è solo l’ennesimo capitolo di una storia lunga almeno cinquant’anni, una storia che nessuno ha interesse a cambiare o a risolvere. Dire che poteva andare peggio, molto peggio. Che i nomi di Carlo Giuliani, Giorgiana Masi e tantissimi altri sono ancora lì a gridare e chiedere giustizia.
A chi grida come sia scandaloso che le forza dell’ordine quando scendono in piazza siano pressoché irriconoscibili, a chi grida misura immediate contro tutto questo, ricorderei che sono dieci anni che centinaia di volontari, compreso il sottoscritto, girano l’Italia per far firmare una petizione popolare in cui si chiedevano i codici di riconoscimento, su caschi e giubbotto, per poliziotti e carabinieri, dove si chiedevano corsi sulla nonviolenza per tutte le forze dell’ordine. E ricorderei che per far arrivare una petizione popolare in parlamento, per obbligare le istituzioni a discutere su quanto proposto, occorre tempo, occorre il lavoro continuo e quotidiano di tutti. Che con tre giorni di indignazione seguiti da dimenticatoio appena l’argomento passa di moda, non si risolve niente.
Ai politici infine, a quelli del centrosinistra (chiedo venia, sull’argomento gli altri mi riesce difficile prenderli in considerazione), a quelli che chiedono chiarezza sugli avvenimenti, che esigono giustizia sui fatti di via Arenula, direi: quale giustizia e quale verità cercate? O meglio, stavolta la cercate realmente oppure è solo un altro spot elettorale, come nel 2006, quando prometteste una commissione bicamerale d’inchiesta sui fatti di Genova e poi, nel giro di dieci mesi, la trasformaste in monocamerale per poi farla sparire del tutto? All’onorevole Di Pietro in particolare, tra i più presenti e zelanti nel denunciare senza appello l’operato delle forze dell’ordine mercoledì scorso, vorrei dire: ma non è stata proprio l’Italia dei Valori, nel 2007, a ritirare il proprio appoggio alla bicamerale su Genova e a farla fallire? E, per concludere, a Beppe Grillo vorrei dire che inneggiare i poliziotti a ingaggiare un’improbabile rivolta con toni a metà tra Masaniello e Tiberio Gracco, è uno degli atti più populisti, violenti e reazionari degli ultimi anni, secondo forse solo all’incitazione berlusconiana all’evasione fiscale, che la citazione di Pasolini era assolutamente fuori luogo (Pasolini, caro Beppe, parlava delle contraddizioni della società capitalista e consumista, per cui la rivoluzione veniva fatta, implicitamente, dalla stessa classe detentrice del potere) e che, infine, l’invito ai poliziotti a passare ‘dall’altra parte’, non ha nulla di nuovo e rivoluzionario: lo fece, caro Beppe, quarant’anni fa Capanna in piazza della Scala, e quello sì, fu un atto rivoluzionario (tu giri adesso con le tette al vento, io ci giravo già vent’anni fa….).
Semplicemente, vorrei non ci si indignasse più.
Vorrei che si smettesse di urlare e ci si interrogasse realmente sulle ragioni profonde di una polizia assolutamente impreparata e inadeguata a qualsiasi situazione delicata, della sistematica sospensione dello stato di diritto, delle violenze efferate, dell’impunità diffusa e silenziosa, degli insabbiamenti giudiziari, dell’incapacità da entrambe le parti a compiere una seria e approfondita riflessione.
E che non si scambiassero più storture e aberrazioni del sistema con discussioni di moda o con onde elettorali da cavalcare abilmente.

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