Ma cosa vuoi che sia una canzone (pensando a Lucio Dalla)

Rubo questa frase a un vecchio disco di Vasco Rossi. Uno di quei pochi casi – forse l’unico – in cui rubare non è ignobile né criminale, ma anzi giusto e necessario come una boccata d’aria fresca. E già che ci siamo, rubo una frase pure a Troisi, che nel “Postino” diceva che “la poesia non è di chi la scrive ma di chi gli serve”. Così, siccome pure le canzoni sono poesie, anche la musica è “di chi gli serve”, anche le canzoni sono scritte, suonate e cantate per essere rubate, citate, stravolte, perché all’emozione senza fiato dell’ascolto segua una miracolosa appropriazione indebita, perché ognuno le renda proprie, le trasformi nelle private e personali colonne sonore della propria vita, dei propri attimi indimenticabili, che le renda le intaccabili ventose della memoria.
È per questo che quando un cantante se ne va, quando la sua voce decide di tacere, ci sentiamo più soli, soli come avessimo perso un amico, un compagno di viaggio, un qualcuno che, pur non conoscendoci, scarabocchiando parole e note ha messo ordine nei nostri disastri esistenziali, ha messo in fila e dato senso ai nostri conti aperti con la vita, ha medicato le nostre ferite aperte e sanguinanti. Fu questo, ad esempio, il significato di quel senso di gelo che mi prese le ossa il 7 aprile del 1994 quando una radio gracchiante e sintonizzata male annunciò la morte di Kurt Cobain. E fu per lo stesso motivo che un brivido che odorava di falò e notti sulla spiaggia mi corse lungo la schiena il giorno che si spense Lucio Battisti. E quella solitudine e smarrimento e disperazione che mi strinse a morsa cuore e stomaco il giorno che se ne andò Faber, come mi avessero strappato via un pezzo di vita.
È così. I poeti sono di tutti e ognuno di noi ne rivendica l’appartenenza in un minuscolo e insondabile anfratto della sua anima.
Oggi se ne va Lucio Dalla. Quel buffo e strambo ometto peloso e barbuto dal tardivo parrucchino ossigenato. Il grande Lucio. Quello che ‘caro amico ti scrivo così mi distraggo un po’ e i battiti accelerati di ogni nostro trentun dicembre. Quello che ‘due occhi che ti guardano, così vicini e veri, ti fan scordare anche la musica, smarriscono i pensieri’ e che ‘te voglio bene assaje…ma tanto tanto bene sai’ e chissà quante lacrime versate da ognuno di noi mentre si ‘scioglie il sangue dint’e vene….’.
Lucio. Tu sei stato per me le feste delle medie e quei batticuori acerbi e impossibili soffocati mentre a tutto volume andava dagli stereo ‘amore mio non devi stare in pena, questa vita è una catena e qualche volta fa un po’ male….guarda come son tranquilla io, anche se attraverso il bosco, con l’aiuto del buon dio, stando sempre attenti al lupo…’.
Lucio. Tu per me sei stato lacrime solo mie ed emozioni inconfessate che nessuno saprà mai per ogni volta che hai cantato ‘compiva sedici anni quel giorno la mia mamma, le strofe di taverna le cantò a ninnananna, e stringendomi al petto che sapeva di mare giocava alla madonna con il bimbo da fasciare’….e sai, Lucio, avrei tanto voluto aver modo di dirtelo, ma è anche sulla frase ‘e ancora adesso che bestemmio e bevo vino, per i ladri e le puttane mi chiamo Gesù Bambino’ che ho imparato a scrivere poesie.
E ancora sei stato i miei diciott’anni, il tuo disco per regalo dove dentro dicevi ‘mi chiamo Ayrton e faccio il pilota’ e poi ancora ‘canzone cercala se puoi, va’ per le strade tra la gente…non può restare indifferente, e se rimane indifferente non è lei’. E sei quel concerto meraviglioso con De Gregori e vagoni di brividi ancora da smaltire, e ‘dove vanno i marinai’ una delle canzoni che più somiglia e che più ho sentito mia. E sei quel giorno remoto d’aprile, quando ancora non avevo un soldo e vivevo nella stanzetta buia e senza cielo e la ragazza sulle mie ginocchia pianse sulla mia mano mentre ascoltavamo ‘lenzuola bianche per coprirci non ne ho, sotto le stelle in Piazza Grande, ma se la vita non ha sogni io li ho e te li do…’. E pure sei Dublino, l’oceano tinto di verdazzurro sulla Dublin Bay e la spuma che mi minacciava le scarpe sfondate mentre nella mia solitudine di spasmi e entusiasmi camminavo e nel walk man avevo ‘com’è profondo il mare’. E anche sei il migliore amico che finalmente s’innamora e quell’amore ha le note di ‘Anna e Marco’ e ‘dov’è la strada per le stelle…mentre ballano si guardano e si scambiano la pelle, e cominciano a volare, con tre salti sono fuori dal locale…’. E sei il mio silenzio e malinconia e speranza di ‘quanti capelli che hai non si riesce a contare, sposta la bottiglia e lasciami guardare se di tanti capelli ci si può fidare’.
Lucio sei tutto questo e chissà quante altre cose, quante altre colonne sonore hai vergato a caratteri d’oro negli scampoli della mia esistenza. Altri momenti che ora non ricordo, che non voglio ricordare e non voglio nemmeno scrivere. Non importa. Sei stato e sei.
I poeti sono proprio di tutti. E con tutti e per tutti ti dico ciao, addio, bon voyage, piccolo grande uomo, tu che ‘vorrei essere la tomba quando morirai e dove abiterai nel cielo sotto il quale dormirai….così non ci lasceremo mai, neanche se muoio e lo sai….tu non mi basti mai….davvero non mi basti mai….io ci provo sai…non mi dimenticare mai…’.
No. Non ti dimenticheremo. Davvero non potremo dimenticarti. Cosa vuoi che sia una canzone? Questo. Proprio tutto questo.
Ciao Lucio.