Francia alle urne

Nessuno mi toglie dalla testa che le elezioni regionali francesi le abbia vinte l’Isis, che quel 28% che ha consacrato l’estrema destra della “dinastia” Le Pen come primo partito di Francia, sia il più grande successo che i terroristi islamonazisti dell’Isis potessero ottenere.
La trappola, vischiosa, brutale e soprattutto irreversibile, della radicalizzazione dello scontro, della contrapposizione frontale di civiltà, della semplificazione violenta del “noi” e del “loro”, è tesa da tempo e, la Francia, pare esserci caduta dentro con tutte le scarpe.

Eppure oggi – almeno oggi – non voglio parlare del pericolo della follia estremista di un partito come il Fronte Nazionale, né voglio lanciare strali contro i contenuti vergognosi dell’estremismo destrorso. In primis perché l’ho già fatto più e più volte, et in secundis perché avrebbe davvero ben poco senso.

Se infatti, come da più (troppe?) parti si sta facendo, ci limitassimo allo sdegno, all’incredulità e alle frettolose barricate da approntare alla bisogna per arginare la deriva fasciolepenista, rifiuteremmo di comprendere un fenomeno che non è estemporaneo come ci piace credere, non è semplicemente un “voto di protesta”, ma è concreto, reale, tragicamente presente e tragicamente esistente.
Ci comporteremmo cioè come davanti agli attentati terroristici: ci illudiamo siano spuntati dal nulla, rifiutiamo di leggere le “puntate precedenti”, di vedere e analizzare il contesto che li hanno generati. Eppure la Storia (maiuscola d’obbligo), traboccando sangue e orrori da ogni lato, ci insegnerebbe (o almeno vorrebbe farlo) come ogni follia, ogni atrocità singola o collettiva, sia prodotta da un humus sedimentato, un contesto condiviso in cui ben pochi restano completamente alieni da colpe.
Ma la Storia non ci piace, il passato ci responsabilizza in una maniera che riteniamo insopportabile per le nostre fragili coscienze e allora preferiamo il sonno, l’oblio, il facile ed eterno presente dove ogni cosa accade fatalmente, improvvisamente. E dove recitiamo sempre e comunque la parte di spettatori impotenti e, soprattutto, incolpevoli. Siamo così abituati a pensare che i “mostri” vengano da un “altrove” a noi ignoto ed estraneo da non essere più in grado di affrontare concretamente nulla.

Ecco perché oggi mi preme fare altre, brevi e “inattualissime”, considerazioni.
Nell’ordine:

1.Ovvio che il balzo del Front National al primo posto in questa ultima tornata elettorale sia strettamente e direttamente connesso con i brutali attentati del mese scorso. Ma non può essere solo questo. Sicuramente non è spiegabile solo con questo. Non stiamo parlando di un minuscolo partito che – faccio per dire – dal 2% è balzato nello spazio di un niente al 28.
Parliamo al contrario di una realtà politica non solo esistente da sempre ma “sdoganata” da tempo, ripulita dai vetusti residui di antisemitismo tanto cari al “patriarca” Jean Marie, modernizzata e affermatasi e consolidatasi ormai da anni come “terzo polo” della politica francese.
E, soprattutto, da anni in crescita costante di consensi.

2.Non è quindi possibile né ammissibile liquidare il tutto come “voto di protesta”. Pare infatti l’esatto contrario del voto di protesta, e cioè un successo costruito pazientemente negli anni, attraverso una progressiva e inarrestabile scalata.
Più che stupirsi per quanto accaduto ieri, è tempo di chiedersi perché, in questo processo di crescita, il Front National abbia trovato, negli anni, un terreno così fertile e così disposto ad accoglierlo. Perché un paese faro di democrazia e liberalismo come la Francia abbia consacrato e sigillato negli anni l’ascesa di un movimento così apertamente fascista, antidemocratico, antiinclusivo, endogeno e guerrafondaio.

3.E non è nemmeno possibile liquidare il tutto sotto la sigla, tanto in voga al giorno d’oggi, dell’antipolitica. Perché il Front National, con il suo radicamento nel territorio, con la sua presenza capillare, ha fatto politica nell’accezione più piena del termine. Non propone una anti-ideologia (non dice cioè “non siamo né di destra né di sinistra”, non dice “basta con le ideologie”), ma una ideologia piena, completa, netta e definita. Una ideologia, lo ripeto, fascista, antidemocratica, endogena e guerrafondaia. Ma pur sempre una ideologia con cui occorre, per contrastarla (sempre che si voglia farlo), anzitutto confrontarsi.

4.Il confronto, appunto.
Il Front National non ha “intercettato la protesta”, non ha “fagocitato il diffuso malcontento”. Semmai, in questi ultimi anni, ha riempito un vuoto.
La crisi economica che da quasi un decennio ha investito e travolto l’intero occidente, ha mostrato l’inesistenza della Comunità Europea come realtà politica. Ha svelato cioè un’Europa – e soprattutto i popoli europei – ostaggio muto e immobile dei più rigidi e trancianti sistemi bancari.
I – chiamiamoli così – “partiti maggiori”, gli eredi ultimi delle consolidate tradizioni democratiche liberale e socialista, si sono consegnati passivamente ai diktat della “cupola” bancaria creando, appunto, un vuoto. Quel vuoto dove i principi della rappresentanza e della sovranità nazionale hanno cessato di esistere: i partiti sono spariti dal territorio, le sezioni sono diventate magazzini per incartamenti e cimeli di epoche passate, il “politico” ha smesso di essere un “rappresentante eletto dal popolo” per diventare un nome ignoto al servizio della BCE.
L’analisi, in definitiva, è rovesciata: la gente non è stanca della politica, la gente rivorrebbe la politica. In questo vuoto da “assenza di politica”, un partito come quello lepenista, che ancora vive per e sul territorio, che ancora passa in rassegna i cittadini casa per casa, che ancora organizza incontri e comizi, ha di conseguenza fatto man bassa.
Un successo le cui ragioni, quindi, sono ben più profonde delle reazioni “a caldo” a seguito di attentati multipli, della paura e del bisogno di sicurezza.
Perché ciò che mi pare essere davvero alla base della clamorosa affermazione del Front National non è il contenuto, ma la forma. Tanto per restare in terra di Francia, ai tempi della Rivoluzione Robespierre ammoniva i colleghi giacobini favorevoli alla guerra ricordando che “nessun popolo ama i missionari armati”. In un tempo in cui le politiche dettate dalla BCE appaiono come “missioni armate”, in cui ogni popolo occidentale si sente ostaggio di un’Europa che non gli appartiene, un partito che ritorna al territorio presentandosi come “francese per i francesi”, indipendentemente dal fascismo che tutto questo sottende, può essere percepito come una liberazione.

5.Ma le reazioni “ufficiali” alla vittoria dell’estrema destra sono a mio avviso ancor più inquietanti della vittoria stessa.
Di fronte a una situazione simile occorrerebbe infatti creare un terreno che offra alternative reali, che dia risposte concrete alle persone fuori dal solco del più becero fascismo. Occorrerebbe, in estrema sintesi, che i partiti democratici tornassero a fare politica. Quella vera.
Al contrario, non si pensa a creare la società di domani, non si pensa a scongiurare il pericolo di un futuro consegnato (regalato?) nelle mani di un nuovo fascismo. Si pensa solo ed esclusivamente ai ballottaggi della settimana prossima, a salvare il salvabile, a evitare quanto più possibile l’emorragia di consensi (e di poltrone), invocando responsabilità (in nome di cosa?) e, soprattutto, preferendo alla strategia “sociale” (quella cioè che pensa a costruire la società di domani lavorando in prospettiva futura per un mondo equo, giusto e democratico), la mera tattica numerica, imparentando il centrodestra con il centrosinistra (un’alleanza senza alcuna idea politica se non la spartizione e la conservazione del potere) per far fuori, con la semplice somma, il pericolo “nero”.
Una mossa che, forse, nell’immediato, può dare i risultati sperati. Ma che, a lungo termine, alla luce di quanto scritto finora, provocherà l’effetto contrario, consegnando – stavolta davvero in maniera definitiva – l’Europa e il mondo intero al più feroce fanatismo fascista.

Riccardo Lestini
‪#‎resistenzeRiccardoLestini‬

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