Le donne della domenica mattina

Firenze, la domenica mattina, è splendida.
Le – purtroppo rare – volte che mi sveglio abbastanza presto per godermi questo spettacolo, esco immediatamente di casa. In centro c’è un’aria quieta e pulita di festa pigra, immacolata e quasi irreale. Tutti camminano lentamente, tutti hanno qualcosa da dirsi, ma senza fretta, senza sovrapporre le voci. E poi, nei bar, nei caffè di legno, tutti stanno miracolosamente seduti, come se l’ansia del tempo e la smania di arrivare da qualche parte si fossero fermate di colpo, inghiottite e risucchiate chissà dove. Persino quelli che fanno jogging hanno nelle gambe una grazia pacificata, una strana e orgogliosa lentezza.
E poi, soprattutto, ci sono loro, le donne della domenica mattina. Ci sono sempre, e se riesci a uscire di casa davvero presto è impossibile non incontrarne nessuna. A volte sbucano fuori da qualche portone, altre volte le vedi avanzare a passi lenti dal fondo della strada, altre volte ancora senti alle tue spalle quel rumore, regolare e inequivocabile, di tacchi che battono sui sanpietrini. Hanno il viso pallido e il trucco sfregiato, il vestito elegante e i tacchi alti. Hanno passato la notte fuori a casa di qualcuno e tutto in loro è fuori posto, vengono dal mondo del sabato sera e del sabato notte, ne portano addosso i rumori, le luci e gli odori. Non c’entrano assolutamente niente con la domenica mattina, sono fuori luogo, un residuo ambulante e stanco del giorno prima, ma sono splendide. Semplicemente bellissime, stordite di stanchezza, strizzano gli occhi contro il mattino confuse, senza essere in grado di realizzare subito dove si trovano. C’è in loro un brillio sottile, impalpabile e quasi impercettibile, una felicità potente e sfuggente nascosta sotto l’aria del mattino come le chiavi di casa sotto i tappetini.
Spesso entrano in un bar. E io non posso fare a meno di seguirle. Quasi sempre ordinano un cappuccino che bevono al banco. Ne ordino uno anch’io, che consumo vicinissimo a loro, quasi gomito a gomito, con uno spazio d’aria ridicolo a separarci. Seguo ogni loro movimento, senza niente in me che sia vagamente morboso, ma solo rapito da quella bellezza, da quel modo lentissimo di versare lo zucchero e girare il cucchiaino, da quello sguardo fisso nel vuoto, dagli sbadigli calmi e regolari, dai pensieri persi chissà dove.
Poi pagano, escono dal bar e io le seguo ancora un po’ con lo sguardo finché non spariscono nella strada. E per qualche attimo resto lì, immobile, stordito ed estasiato dal brivido di quella felicità minima appena rubata.

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