La solitudine del proiezionista

Ero felice. Indipendentemente dal film, ero felice. L’ingresso della cabina era sul retro del cinema e arrivavo sempre molto prima di qualsiasi spettatore. Non c’era nessuno da avvertire. Loro, di sotto, sapevano che io ero lì. C’era un citofono, accanto al proiettore. Suonava e io dicevo semplicemente ‘Sì?’, e dall’altra parte mi rispondevano soltanto ‘Puoi partire’. E io riagganciavo e mi preparavo. Prima di tutto controllavo che il quadro fosse a posto, per evitare quelle immagini a metà che a volte si vedono a inizio film. Poi davo uno occhio allo sportello che tiene ferma la bobina, che fosse chiuso bene. Con una pila che tenevo in bocca percorrevo rapidissimamente il tragitto della pellicola, i riccioli e i dentini e infine, tiravo giù l’obiettivo anamorfico del cinemascope e lasciavo andare il sogno. Il sogno. E il sogno aveva il suono assordante della colonna sonora in perfetto sincrono col primo fotogramma, del motivetto della casa di produzione, del trailer d’apertura. Sotto, ridevano, piangevano, erano felici e disperati. Ed era merito mio. Mio. Io ero il gran sacerdote, il fabbricante di sogni, quello che la sera prima aveva incollato sei bobine una dietro l’altra e creato una bobina unica solo per loro, per farli sognare. Io avevo riavvolto il film con un trabiccolo di legno che spezzava le spalle sempre per loro, sempre per farli innamorare. Li vedevo, da lassù. Li vedevo baciarsi, cercarsi, addormentarsi, innamorarsi. Li vedevo arrivare e andar via. E nessuno sapeva della mia esistenza, nessuno sapeva del mio prodigio. Nessuno. Ma ero felice. Dio quanto mi piaceva quella solitudine, dio quanto mi piaceva l’odore della pellicola mescolato alla mia pelle e alle emozioni che come scie lontane arrivavano dalla sala di sotto.
Era un lavoro meraviglioso. Era splendido vivere di quelle vite ignote, di quelle felicità sconosciute, e non avere nemmeno il tempo d’immalinconirsi quando fuggivano via. Perché, appena fuggite via, ne arrivavano delle altre. E il sogno ricominciava.
Oggi mi restano solo frammenti di pellicola rubati nei cinema dove ho lavorato. Non restano nemmeno i cinema, quasi tutti chiusi, demoliti, falliti, sostituiti.
Ma resta il sogno.
Quello sì, resta ancora.

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