Lettera quasi di malinconia

Caro G,quaggiù tutto consueto, tutto normale, anche oggi che, si dice, abbiamo qualcosa tipo trentatre anni. Non so cosa voglia dire quest’età, non so cosa voglia dire qualsiasi età. So però che molti di noi ancora non dormono la notte e ancora non si lasciano stare. Se un significato ci deve essere, caro G, è che a trentatre anni uno straccio di storia alle spalle ce l’hai, e a volte ti tocca raccontarla. Mi hanno detto scrivila, scrivi la storia della nostra generazione. Ma io caro G non la so, non la so proprio. Non so nemmeno se a conti fatti lo siamo stati, una generazione. Mi ricordo solo che c’eri tu, c’ero anch’io e c’erano tante altre persone. Mi ricordo che ascoltavamo la musica nelle cuffie di walkman che andavano a cassette polverose, e che i pochi computer che possedevamo erano tutti Commodore 64. Mi ricordo che da ragazzi non avevamo telefonini, e se volevamo invitare una ragazza a uscire ci toccava fare il numero di casa e stare in ansia nel caso avesse risposto suo padre. Mi ricordo che a un certo punto, d’autunno, è venuto giù il muro di Berlino e ci abbiamo scritto chilometri di temi a scuola. Due mesi dopo poi, il giorno di Natale, mi ricordo che fucilarono a Bucarest un dittatore e diedero la notizia in diretta. Si chiamava Ceausescu, ma non ricordo che faccia avesse. Mi ricordo le bombe, nomi come Capaci e Georgofili che giganteggiavano negli striscioni delle assemblee e delle occupazioni. Mi ricordo che un giorno abbiamo cominciato tutti a vestirci con le camicie a scacchi come Kurt Cobain e le ragazze mettevano gli anfibi anche d’estate. Mi ricordo che eravamo innamorati, tutti quanti, ma non mi ricordo più di chi. Mi ricordo che ce ne andavamo di casa per studiare e che prendevamo in affitto case che cadevano a pezzi, e che ci vivevamo dentro stipati come in una comune. Poi all’improvviso mi ricordo che si piantò in cielo una cometa di nome Heil Bop. Avrebbe dovuto rimanerci solo un mese, ma poi restò lassù tutta la primavera, e quando se ne andò sentimmo tutti una forte malinconia. Ma soprattutto io mi ricordo l’estate del 2001, quel giorno di luglio a Genova, quando la mia vita, la tua e quella di chissà quanti altri, cambiò di colpo nello spazio di poche ore. Vedi caro G, anche a noi la storia è passata dentro, ci ha attraversato il corpo senza che ce ne accorgessimo. I decenni hanno soffiato i loro venti implacabili tra i nostri capelli, gli anni sono volati via e i pomeriggi non sono mai passati. Caro G, oggi ho visto quattro ragazzi che smontavano pannelli di legno sotto un sole cocente. Da bambini quei quattro ragazzi e io giocavamo insieme su parcheggi infiniti rincorrendo palloni sopra le macchie d’olio delle centoventisette. Ma non ci siamo riconosciuti e l’ho capito dopo, pescando gli occhi di uno di loro negli infiniti anfratti della mia memoria. Caro G, ho ancora voglia di vivere nonostante tutto, tra questo passato ingarbugliato e questo futuro sempre ignoto, ancora voglia di non capire e di non lasciarmi stare. Caro G, vienimi a trovare ogni tanto, e ci scalderemo al fuoco caldo dei nostri stupidi e meravigliosi ricordi.

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