David Lynch – “Fuoco cammina con me”

Se dovessi raccontare il mio (ma che poi potrebbe essere pure il “nostro”, chissà… ) 1992 al cinema in una manciata di film, come al solito l’impresa non sarebbe semplice.
Perché sì, il 1992 fu – cinematograficamente parlando – anno contraddittorio piuttosto e anzicheno, e venne ovviamente meno la grande abbondanza del 1991, per l’appunto irripetibile (vedi post precedenti). Ma sempre un casino resta.
Ad ogni modo, proviamoci.

Anzitutto, tette e culi. Perché furono loro, indiscutibilmente loro – le tette e i culi – i grandi protagonisti di buona parte di quella stagione cinematografica. Qualcuno potrà giustamente dire, pensando ai diluvi di tette e ai torrenti di culi che si riversarono copiosi e da ogni dove su piccoli e grandi schermi negli anni 80, niente di nuovo. E invece, qualcosa – forse parecchio – di nuovo c’era eccome. Ovvero: nei rampanti anni 80, tette e culi erano stati per lo più goiosi e goliardici, evoluzioni compiute e sfatte di quella commedia sexy sboccata e boccaccesca che ebbe origine nei 70; nei 90 invece, tette e culi si impongono in maniera pretenziosa, mescolandosi ad altri generi (il thriller è il preferito) e facendo diventare un must l’espressione “erotico d’autore”.
Non a caso nel 1992, che è l’anno in cui gli anni 90 iniziano davvero e a tutti gli effetti, di tale erotico d’autore abbiamo un diluvio senza precedenti. Che poi, scopriremo, che “erotico d’autore” non è altro che un’espressione furbetta buona solo a giustificare le masturbazioni degli intellettuali. In altre parole, sti film fanno cagare.
Ma impossibile non citarli, visto l’impatto, generazionale e non, avuto all’epoca. A partire dalla pellicola sovrana di tutto questo, ovvero quel Basic Instinct annunciato come il più torbido e conturbante erotic-thriller della storia, che avrebbe scosso le nostre coscienze e soprattutto le nostre mutande. Con tanto di “caso” Micheal Douglas, talmente turbato dalla scene girate da finire in analisi. Mah… Il risultato è una cagata apocalittica, uno dei film più orrendi della storia dove, tolta Sharon Stone (una bonazza da standing ovation ogni tre secondi), tutto il resto è da denuncia. Non turba, non scuote e in più di una sequenza è involontariamente ridicolo.
Andando all’erotismo de noaltri, più pecoreccio (e genuino), ma ugualmente pretenziosetto, troviamo l’immancabile Tinto Brass, che in quest’anno celebra la sua ossessione del culo con un film espressamente dedicato al posteriore: quel Così fan tutte che lanciò le grazie di Claudia Koll. Film inutile – culo a parte, s’intende – ma che aprì una diatriba tra noi pischelli di allora: meglio questo o il precedente Paprika con la Caprioglio? Vinse, nel mio gruppetto, la Caprioglio, secondo parametri impronunciabili. La suddetta, fu in questo stesso anno protagonista di Spiando Marina, un ennesimo “erotico d’autore” che probabilmente va considerato a pieno titolo uno dei dieci film peggiori della storia del cinema.
Rimanendo su questa falsariga, ecco arrivare dalla Spagna Bigas Luna, regista che a inizio carriera cercò di coniugare erotismo e surrealismo alla Almodovar: nelle prime pellicole interessante, poi cagate epocali. Tra questi rari film vagamente interessanti quel Prosciutto Prosciutto che lanciò gente mica da poco, ovvero Penelope Cruz e Javier Bardèm, affiancandogli un mostro sacro come la nostra Stefania Sandrelli. La critica all’eoca lo celebrò in maniera entusiasta, rividendolo oggi è difficile capire perché. Di sicuro, a parte questo, fu l’unico a centrare l’obiettivo, ovvero ci turbò. E di brutto, specie la scena del pappagallo con Anna Galliena.
Per chiudere, l’unico film a potersi fregiare davvero dell’appellativo “erotico d’autore” fu Il Danno, che non è la miglior prova di Louis Malle, ma lui, Malle, giganteggia comunque, pure in questa pellicola non sempre convincente.

Uscendo dal tunnel di tette e culi ma restando sul filone Malle, ovvero grandissimi registi non al top, ricordiamo il Mariti e mogli di Woody Allen, bel film ma lontano anni luce dai suoi capolavori, oppure stessa cosa per Luna di Fiele di Polanski o ancora I protagonisti di Robert Altman. Tanta roba anche per Batman – il ritorno di Tim Biurton, ma una bellezza che non reggeva il confronto con il primo, dove – e hai detto nulla – c’era pure Sua Maestà Jack Nicholson. Tutti belli ma non bellissimi quindi. E lo stesso si può dire per il nostro Salvatores: impossibile bissare la grandezza epocale di Mediterraneo, ci offre un film comunque molto bello, ovvero Puerto Escondido, a tratti irresistibile, ma lontano anni luce dall’universalità struggente e assoluta della pellicola premio Oscar.

Proseguendo con la carrellata, andiamo ai fenomeni stagionali dell’anno, a partire da The Bodyguard, supercampione al botteghino (e nei negozi di dischi per una soundtrack indimenticabile), ma che sostanzialmente era una cagata, se non fosse per la voce divina e celestiale dell’immensa Whitney Houston. Poi via via a sbancare il botteghino troviamo il divertente – ma banalotto e invecchiato in maniera decisamente incolore – Sister Act, la sfida tra Jack Nicholson e Tom Cruise in Codice d’onore (filmetto, tolti gli attori, di bek poco valore), la prima volta del duo Cruise/Kidman in Cuori ribelli (pastrocchione da feuilleton di cui avremmo fatto volentieri a meno) e ovviamente L’ultimo dei Mohicani, lentissimo pastone hollywoodiano che all’epoca in sala ci fece letteralmente dormire. E di brutto (specie G.F., il cui russare se lo ricordano ancora tutti gli spettatori di quel giorno). Tormentone dell’anno, visto che era l’argomento del momento, il film australiano sui naziskin, intitolato Skinheads, pellicola adrenalica e priva di sostanza (anzi, pericolosamente ambigua). Totalmente ridicola invece la versione italiana della questione, intitolata Teste rasate. Ecco, su sponda italiana poca pochissima roba: a parte che fece incetta di incassi l’imbarazzante film a episodi Anni 90 (decisamente un’offesa alle nostre intelligenze), segnaliamo un doppio Verdone. Tutti celebrarono Maledetto il giorno che t’ho incontrato; bello, grandiosa la Buy ma fa troppo il verso a Harry ti oresento Sally; e io già allora preferii Al lupo al lupo, con il trio Verdone-Rubini-Neri fenomenale in una storia dolce e straziante della ricerca del padre e della propria identità di uomini. Una delle prove più alte del buon Carlo.

Finita la carrellata, veniamo ai MIEI film.
Anzitutto un tris di film italiani: il primo Morte di un matematico napoletano, del gigantesco Mario Martone, che vidi tra mille perplessità e pregiudizi (temevo il pippone estremo e letale) e che invece illuminò i miei 16 anni in maniera meravigliosa (tra l’altro… rivisto di recente ed è davvero invecchiato alla grande); il secondo il grandioso Il ladro di bambini, struggente e commovente (ma quando i bimbi cantano La donna cannone, ne vogliamo parlare??), uno di quei film “polverosi” e di periferia che influirono in maniera irrimediabile su tutto il mio universo artistico; e soprattutto, per finire, Le amiche del cuore, uno dei primi film di Michele Placido regista, con una STREPITOSA (e ripeto settanta volte strepitosa) Asia Argento, che io avevo già visto in Trauma (regia di suo padre, che andai a vedere pieno di aspettative ma che fu una delle prime cocenti delusioni che mi diede re Dario, mito della mia infanzia) e di cui ero già innamorato perdutamente… storia durissima, questa qui, storia maledetta di una periferia avvelenata e di un incesto spaventoso, uno di quei film ingiustamente poco calcolati, ma che andrebbe visto e rivisto e rivisto e rivisto…
Poi, quell’apocalittico e torrenziale apologo sull’esistenza che è Casa Howard, geniale, intenso, infinito… un’epopea diretta dal genio di Ivory e interpretato dai superlativi Hopkins e Thompson, che all’epoca mi piacque così tanto che tornai al cinema a vederlo una seconda volta…
Poi, due film biografici. Il primo il gigantesco Malcolm X di Spike Lee con un grandioso Denzel Whasington: film importante, necessario, severo e filologico fino all’ossessione. Un grido di rabbia che rese Malcolm a portata di mano per tutti noi, lo fece riscoprire a una generazione che – purtroppo – ne aveva ancora bisogno, e lo rese una delle icone più forti del nostro Pantheon politico. Visto al cinema e poi rivisto almeno un centinaio di volte.
Il secondo, il grandioso Charlot, vita avventure e miracoli – soprattutto miracoli – di Charlie Chaplin; che era già nel mio Olimpo… poi, da quando vidi quel film, il piccolo vagabondo divenne la mia ossessione… e non avrei mai, MAI, smesso di rincorrerlo.
Quell’anno uscirono pure due film per me importantissimi che non vidi al cinema e che avrei riscoperto tempo dopo. Il primo, l’esordio alla regia di uno dei più grandi della storia del cinema americano, ovvero il grande Quentin Tarantino, che sputò fuori il meraviglioso Le Iene; vergognosamente bello con un unico difetto: tutti lo scoprimmo DOPO Pulp Fiction… e essere scoperti DOPO Pulp Fiction è sempre una disgrazia. Ma, detto questo, di Pulp Fiction Le Iene è il prologo ideale… senza Iene, Pulp non sarebbe mai esistito.
E uscì il secondo capitolo della saga di Heimat; questo lo scoprii all’università… e lo avrei visto più e più volte. Con due sole parole in bocca: incanto e meraviglia…
Per concludere fu anche l’anno dello straordinario Dracula di Bram Stoker, splendida pellicola del grande Francis Ford Coppola che ebbe il coraggio di sfidare il cliché cinematografico vampiresco restituendo Dracula alla sua mitologia originaria. Mettendosi a gareggiare con il grande cinema d’autore tedesco (Murnau, Herzog… ) uscendone indenne.
Un capolavoro assoluto di eros e tanatos che ancora oggi fa tremare.

Epperò se tra tutti ne devo scegliere UNO SOLO, allora scelgo FUOCO CAMMINA CON ME.
Forse non fu il film più bello dell’anno, ma fu il più importante per me.
Con la serie I segreti di Twin Peaks che l’anno prima mi aveva cambiato definitivamente la vita (e che ancora oggi me la condiziona), lasciandomi attonito con un milione di perché (e di delusione, perché la serie non sarebbe andata avanti) aspettai questo film con la bava alla bocca, andandolo a vedere il giorno stesso dell’uscita, al primo spettacolo, arrivando con mezzora di anticipo e il cinema ancora chiuso.
Fu fischiato a Cannes, stroncato dalla critica e dal pubblico.
A me invece piacque da morire. Tra le tante: la sequenza iniziale del balletto di Lili è da antologia.
Lo ritenni un capolavoro allora e lo ritengo un capolavoro oggi.
Visionario, onirico, surreale, grottesco, immaginifico all’ennesima potenza, inquietante, disturbante, terrificante.
In una parola: David Lynch.
E la materializzazione dei nostri sogni.
Oggi, a vederlo così rivalutato, e dalla critica e dal pubblico, fino a considerarlo all’unanimità una delle prove più important della carriera di Lynch, mi sento quasi un pioniere…

Per disturbare i vostri sogni e costringervi a notti insonni, posto la sequenza dell’irruzione di Philp Jeffries (interpretato da David Bowie) negli uffici dell’FBI e il racconto delle sue SPAVENTOSE VISIONI nel viaggio all’interno della Loggia Nera…

Perché i gufi non sono quello che sembrano.
E in ogni caso, ci rivedremo tra venticinque anni…

#anni90
#gliAnniNovantaAlCinema
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