Ogni cosa che vi devo

Ricordare degnamente un artista gigantesco come Massimo Troisi nel venticinquesimo della sua scomparsa, prendere il suo capolavoro, “Il Postino”, e analizzarlo, sviscerarlo, farne l’esegesi come meritano le più grandi opere d’arte.
È da ieri che ci provo, in tutti i modi, ma non ci riesco, non con Troisi.
Troppe emozioni vive, troppa intimità, troppo me stesso e troppa roba personale di mezzo per fare l’intellettuale e parlarne in maniera certo appassionata, ma oggettiva e lucida.
E allora lasciamo stare le esegesi, le analisi e le oggettività e proviamo in un altro modo.
Proviamo a ricordarlo seguendo esclusivamente il filo delle emozioni spietatamente personali. Quel filo che procede alla rinfusa, senza logica, ma nel più autentico dei modi.
Perché sì, non c’è niente da fare, se io mi trovassi nel millequattrocento (quasi mille e cinque) e incontrassi una ragazza bella e disarmante come Amanda Sandrelli, non penserei né a tornare nel presente né a cambiare la storia, ma vorrei soltanto cantarle “Yesterday” spacciandola per una mia creazione.
E poi certo, magari io non so cosa siano la fede e la religione e sono pure un po’ blasfemo, ma davvero raramente ho incontrato una Madonna più tenera e umana di quella di “Annunciazione, annunciazione!”. E a proposito di Madonne, neanch’io avrei la minima voglia di vedere una statuetta della vergine che piange, mi intristirei di brutto. Ma se mi dite che da qualche parte c’è una statuina che ride, ci andrei di corsa…
E ancora sì, quand’ero ragazzino e mi innamoravo – Dio come mi innamoravo – e mi sentivo sempre tragicamente inadeguato a quelle ragazze che mi parevano sempre sconsideratamente troppo per me, ecco che c’era la timidezza di Gaetano di “Ricomincio da tre”, il suo spaesamento cosmico a farmi sentire meno solo.
E ancora oggi non ho mai trovato niente di più logico, quando scorgi la ragazza che ti piace, che sfiatarsi facendo il giro del palazzo e fingere di incontrarla per caso.
E niente, davvero niente, era più simile ai batticuori dei miei vent’anni di Mario Ruoppolo che declama “Nuda” di Neruda alla sua Beatrice.
“Il Postino”, appunto… che sì, lo penso oggi come ieri, niente più di quel film avrebbe meritato Oscar e gloria eterna, e il non averlo vinto è uno scandalo senza troppo da aggiungere. Ma penso anche che più di premi e statuette conta il fatto che questo film esista, che Troisi oltre la malattia e oltre la morte abbia trovato la forza, il coraggio e l’amore di finirlo. E non c’è altro da dire, solo sentire il galoppo del cuore impazzito mentre Mario registra il suono delle onde, delle tristi reti dei pescatori e del cuore di Pablito. Nient’altro da dire, tranne restare aggrappati alla poltroncina del cinema stravolti di commozione come in quel lontano 1994.
Che Troisi sì, è stato un compagno di viaggio e di giochi, essenziale e necessario, un pugno in faccia all’ovvio e alla volgarità. Ed è anche colpa e responsabilità sua molto del cielo che andò a colorare il mio animo di adolescente e che ancora colora il mio animo di adulto. Colpa e responsabilità sua l’amore per il teatro e l’amore per Napoli.
Napoli, quella Napoli reale e lontana anni luce da ogni stereotipo, quella Napoli disperata e immensa, irresistibile e indimenticabile, commovente e inafferrabile.
Quella città che andai a cercare e a conoscere con la sfrontatezza dei vent’anni, tra i vicoli e il mare in piena faccia, porta Nolana e piazza del Carmine, dove alcuni Pulcinella che la storia ha dimenticato, inventarono il teatro moderno.
Andai a cercarla, quella città, e la trovai. E fu il primo e unico viaggio che feci da solo con mia sorella.
E allora oggi è tutto un casino di ricordi e malinconie, di Troisi perduto, di mia sorella che non c’è più, di quell’unico viaggio insieme e di quel libro che mi regalò e che parlava di Pulcinella e quando tornai da Napoli dissi al mio amico Albano ho deciso, il prossimo spettacolo sarà Pulcinella.
E così fu. E da quel giorno il teatro non mi avrebbe più abbandonato.
A Massimo.
A mia sorella.
Alla vita che vi devo.