Quelle notti in San Frediano (o del momento di grazia… aspettando il 7 marzo)

Prima o poi ce l’hanno tutti e per tutti arriva, il MomentoDiGrazia, cioè quel periodo – o quei periodi, per i più fortunati – della vita in cui tutto gira per il verso giusto, che scoppi di salute, che le infili tutte giuste, che non c’è verso di sbagliare, che pure se sbagli ti dice talmente culo che lo sbaglio diventa la mossa del secolo, che non dormi mai e non sei mai stanco, che ne fai ventimila insieme e tutte a meraviglia.
Ecco io sono fortunato, ché di momenti così ne ho vissuti diversi. Ma tra tutti, il MomentoDiGrazia per eccellenza, a tutt’oggi imbattuto e probabilmente imbattibile, è stato quello a cavallo della mia laurea, tra il 2001 e il 2002. Il periodo che scrivevo copioni in una settimana o poco più, che scrivevo-dirigevo-interpretavo due-tre-quattro spettacoli contemporaneamente, che ero talmente folle e sfrontato da mettermi a fare monologhi, che prendevo treni e aerei e pullman e autobus e tram a caso azzeccandoci sempre, che dormivo nel sottopassaggio della stazione Venezia Mestre e il giorno dopo mi trovavo senza preavviso in tournée con i Modena City Ramblers, che le ragazze più belle parevano sempre assurdamente concordi nel ritenermi tra i più belli e interessanti non dico del mondo, ma almeno della festa, che il tempo si moltiplicava, che le giornate parevano di quarantotto ore, che c’era pure il tempo di sputtanare una quantità incalcolabile di ore, che salivo e scendevo dagli autobus, che passeggiavo e passeggiavo, che mi sdraiavo sui gradini delle piazze, che restavo ore sui lungarni ad aspettare il tramonto, che in qualche modo, specie di notte, finivo e finivamo sempre in San Frediano, tra Santo Spirito e piazza del Carmine, a specchiare la nostra allegria disperata in quelle vie e in quelle pietre tra sandali e zaini e gonne lunghe.
Ed è stato in quel periodo che, in mezzo a tutta questa vita e a tutto questo gioioso casino, ho iniziato a scrivere “Il Piccolo Principe è morto”. In Irlanda, a Cork, nella hall di un ostello, in un pomeriggio di pioggia avevo scritto su due paginette tutta quanta la trama, capitolo per capitolo. E al ritorno, su un quadernino giallo e con le pagine bianco sporco senza righe né quadretti, avevo iniziato a scrivere il romanzo vero e proprio. Ero un fiume in piena, e contemporaneamente a quel romanzo scrivevo altro, tantissimo altro, ma quel quadernino giallo lo avevo sempre in tasca, e spesso, proprio lì, in San Frediano, prima che iniziasse la notte e la bolgia, mi appuntavo un’immagine, una frase. Un qualcosa.
San Frediano o meno, “Il Piccolo Principe è morto” andò avanti spedito più o meno per più di un anno, oltrepassando ampiamente quel mai troppo rimpianto MomentoDiGrazia. Poi, di colpo e d’improvviso, si schiantò e si inchiodò nel bel mezzo di un capitolo da cui non c’era proprio verso di venir fuori. Perché lo sapevo, e lo sapevo da quel giorno in Irlanda, cosa sarebbe successo. Ma tutto a un tratto non sapevo più come raccontarlo.
E restò così, il mio romanzo, piantato e inchiodato, senza che riuscissi ad aggiungere nemmeno una parola. Per qualcosa come due-tre anni. Poi, quando ero tutt’altro che in un MomentoDiGrazia, ma al contrario decisamente in un supremo MomentoDiMerda, ricominciai a scriverlo. E quel capitolo maledetto, quello dove si era schiantato e inchiodato, riuscii a finirlo proprio lì, in San Frediano, sui tavolini di una Libreria Café che aveva aperto da poco.
Il romanzo si sarebbe schiantato e inchiodato ancora e a più riprese. Ma quel giorno, in San Frediano, su quei tavolini, a furia di tè e birre chiare, riuscii a trovare quella strada, quel sentiero di parole e quel ritmo che inseguivo da anni. E che sarebbe andato a costituire la matrice stilistica più forte e riconoscibile della parte centrale del mio Piccolo Principe.
Ora, secoli dopo, il romanzo è finalmente uscito. E dopo un mese di vita in libreria, dove è già andato molto – ma molto – oltre ogni mia più ottimistica aspettativa, finalmente arrivo a presentarlo nella mia Firenze. E siccome questo libro e il tour di presentazioni che lo sostiene sono un deliberato attacco al cuore del sottoscritto, ecco che non lo vado a presentare in un posto qualsiasi. Ma lì, proprio lì, alla Cité, in quella libreria Café, tra quei tavolini dove non cominciò niente, ma dove tutto ripartì.
E allora vi aspetto, il 7 marzo, alle 19, tra quei tavolini, a tutti voi che avete bisogno di ricordare, di ripartire, che siete alla ricerca di un nuovo MomentoDiGrazia. A voi che avete bisogno di emozioni sotto forma di parole, possibilmente in tempesta.
A voi semplicemente curiosi o vogliosi di venire.
Noi saremo lì.
Non mancate…

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