“C’era una volta una bambina di nome Giada talmente impaziente di far vedere al mondo quanto fosse presente che già nelle prime pagelle delle elementari leggeva ‘egocentrica’…”

“C’era una volta una bambina di nome Giada talmente impaziente di far vedere al mondo quanto fosse presente che già nelle prime pagelle delle elementari leggeva ‘egocentrica’…”

Storie di belle ragazze – Giada Tinturini

Proseguiamo il nostro lungo viaggio nell’universo femminile restando in Toscana, nel senese. Per la precisione nel meraviglioso borgo di Montalcino, dove andiamo a conoscere una splendida ragazza di nome Giada Tinturini.
Giada è una maestra di scuola primaria che, nonostante la giovane, giovanissima età, è già di ruolo. Un fatto che in altri tempi, e nemmeno troppo lontani, sarebbe stato normale, ma che oggi, tempo di crisi, di disoccupazione under 30 come mai prima d’ora e di una generazione condannata o al precariato perenne o all’esilio forzato, rientra necessariamente nella casella degli eventi speciali.
Ma, pur se già tantissimo, non è per questo, o quanto meno non solo e non principalmente, che ho voluto incontrarla.
La decisione, e la voglia, di intervistarla è venuta dalla sua pagina Facebook. Pagina normalissima, beninteso, ma costellata di post in cui Giada ci parla del suo lavoro, della scuola e dei suoi piccoli grandi alunni grondando amore, passione ed entusiasmo a ogni frase, ogni parola.
Amore e passione così forti e potenti da debordare e da essere, più in generale, passione, amore ed entusiasmo per la vita in quanto tale. Ed è questo, proprio questo, che più stupisce e colpisce di lei, questa smania di vivere, questa frenesia quasi elegiaca di esistenza, questa voglia garbata e gentile di gettarsi a testa bassa nel grande spettacolo del mondo e viverlo addosso e sottopelle, nella maniera più totalizzante possibile, gridando a pieni polmoni continuamente la propria libertà, la propria caparbia indipendenza e il proprio posto nel mondo.

Giada non aspetta le emozioni, le va a cercare con ostinazione, vivendo il mondo come un teatro gigantesco dove ogni esperienza, ogni persona, ogni scenario è una scoperta, un rinnovarsi, una storia, un romanzo, un arricchimento. Una concezione onnivora dell’esistenza travolgente e di certo contagiosa, prima di tutto perché sincera, pulita e piena, che a ogni passo si riflette nel suo viso e nei suoi occhi, altrettanto sinceri, puliti e pieni.
Sembra uscita da una canzone di Guccini, Giada. “Bella di una sua bellezza acerba/ bionda senza averne l’aria/ quasi triste come i fiori o l’erba/ di scarpata ferroviaria” sono versi che sembrano vestirle addosso come un abito fatto su misura. Perché tra le spire di luce di quella energia contagiosa, di quell’entusiasmo aperto e accogliente, si nasconde qualcosa che sfugge, indefinito e indefinibile, un’ombra, una malinconia. Nelle nostre chiacchiere, ricorre spesso nelle sue parole il colore nero, nero come il colore del vestito che indosserebbe per occasioni importanti e decisive. Nero a contrastare il biancore della pelle. O forse a simboleggiare un potente e indissolubile equilibrio interiore tra semplicità e complicatezza, tra gioia e malinconia.
E forse non poteva che essere così. Chi ama così tanto la vita, conosce l’amore. Sa che è una convivenza di contrari impossibile da spiegare.
Bionda senza averne l’aria, per l’appunto. Quasi triste, a suggellare il tutto.

Del resto ci sono persone che sono mare e altre che sono montagna. Giada è collina, come le colline senesi in cui si inabissa, rinasce e si fortifica ogni tappa della sua vita. Quelle colline placide e quasi addormentate in superficie ma che, nelle viscere, ribollono d’inquietudini che non hanno nome ma che semplicemente sono. E le rendono uniche. Lo sentiremo meglio dalle sue parole più avanti, ma non è un caso che quando le chiedo di dirmi un posto cui è particolarmente legata e che avrebbe voluto scegliere, simbolicamente, per questa intervista, senza pensarci nemmeno un attimo mi risponda Montalcino, il suo paese, la sua terra, la sua anima.

Come sempre, anche a lei come prima cosa le chiedo: “immagina la tua vita come fosse una fiaba. Quindi: “c’era una volta una bambina di nome Giada che… “. Come completeresti questo incipit?”.
Giada ha risposto: “C’era una volta una bambina di Giada che aveva così tanta voglia di far vedere al mondo quanto fosse presente che già dalle prime pagelle della scuola elementare leggeva ‘egocentrica’…”.
Io, sinceramente, più che egocentrismo, ho sentito in Giada la sincera voglia di esserci. E di non perdersi nemmeno un attimo di questo spettacolo di certo squinternato, ma senza dubbio emozionantissimo, che siamo soliti chiamare vita.
Quello che segue è quanto ha voluto regalarci.

D- L’idea di cominciare così, con il “C’era una volta una bambina…”, viene da un libro straordinario che amo molto: “Storie della buonanotte per bambine ribelli”. Tu ti senti una “bambina ribelle”?

R- Abbastanza, o perlomeno sento di esserlo stata per buona parte dell’infanzia e dell’adolescenza. Ribelle a tutto ciò che vivevo come un’ingiustizia per me ma anche per gli sconosciuti. Poi col tempo ho dovuto calmarla questa “sete” di giustizia, perché mi sono ritrovata l’etichetta di “quella che fa polemica”.

R- Parliamo di Montalcino, la tua terra, verso cui nutri un amore particolare e speciale. Ci vuoi spiegare brevemente questo legame?

D- Il mio paese lo ritengo un posto che dà tantissimo, lo immagino come l’unico luogo al mondo dove farei crescere i miei figli quando ne avrò. Si respira la campagna, si trovano ancora gli anziani al bar che con qualche parola o qualche detto ti insegnano la VITA. Si apprezzano di più, secondo me, le cose semplici. Ci sono i quartieri, che diventano una seconda famiglia. E poi ci sono le stesse facce: il panettiere, la signora degli “alimentari”… che ti danno sicurezza, sono lì ad aspettarti anche quando ti allontani per anni.

D- Veniamo a Giada maestra. Da quanto tempo sei insegnante?

R- Tre anni nella Scuola Statale, questo sarà il mio quarto. Per due anni ho insegnato in una scuola parentale con bambini della fascia d’età 3/6 anni.

D- Tu sei, permettimi, giovanissima. E in un mondo di precariato giovanile folle e selvaggio, sei già insegnate di ruolo. Giada qual è il segreto?

R- Nel mio caso è stato aver seguito l’unico percorso che mi portasse all’insegnamento, che in quel momento, 2009/2010, era la facoltà di Scienze della Formazione Primaria che abilitava all’insegnamento e contemporaneamente permetteva l’ingresso nelle GAE fino all’anno precedente (poi solite cose all’italiana, si cambiano le regole a gioco iniziato).
Durante l’Università ho conseguito anche la specializzazione nel sostegno e questo mi ha permesso (data la carenza nazionale di docenti specializzati nel sostegno) di laurearmi il 22 aprile 2014 ed essere tra i banchi il 15 settembre dello stesso anno. Poi c’è stato il “concorsone” e l’aver superato questa prova è ciò che mi ha permesso di accedere al ruolo.
Il segreto credo sia stato andare oltre al viverlo come un’ingiustizia per tempistiche, modalità e via dicendo. E soprattutto andare oltre al “ricorso facile” (sempre tipica usanza italiana), ma viverlo come una cosa che era da fare.

D- Amore, determinazione, coraggio Quanto queste tre componenti sono state importanti per la conquista del lavoro?

R- Amore immenso, da quando mi hanno chiamata Maestra la prima volta durante il tirocinio negli anni universitari, quando ho pensato per la prima volta che non avrei voluto o potuto fare altro. Determinazione abbastanza , quando a maggio dello scorso anno in concomitanza degli impegni di fine anno scolastico dovevo far conciliare questi e lo studio per la prova scritta del concorso. Coraggio solo in un’occasione, quando mi sono presentata davanti ad una commissione alla prova orale dovendo dimostrare la credibilità del lavoro da me fatto quando una grandissima parte di me non ci credeva.

D- Non ti chiederò di eventuali pregiudizi nell’essere donna, vista la preponderanza di personale femminile nella primaria. Ma… ci sono pregiudizi – magari anche quello della commissione- per la tua giovane età?

R- No, la commissione no. Per il titolo di studio quello sì, o perlomeno la mia percezione è questa, almeno alla primaria. Un po’ la sensazione del “visto che avete studiato tanto fate vedere cosa sapete fare”, in tanti pronti ad osservare l’inevitabile errore. Anche perché è vero: la formazione è sicuramente valida, ma entriamo nel mondo della scuola completamente inesperti e impreparati. E purtroppo in un mondo così prettamente femminile la collaborazione vera, per la serie “dammi la tua esperienza io ti do qualcosa di innovativo, mescoliamole insieme”, manca. Perlomeno questa è la mia esperienza.

D- Il ruolo è un punto d’arrivo o un punto di partenza?

R- Partenza assolutamente. Ancora non ci credo, non ambivo al ruolo e so che detta così suona male, ma faccio parte di una generazione che il posto fisso non se lo immagina o lo vede come un miraggio nella maggior parte delle situazioni (anche se Montalcino da questo punto di vista è un’isola felice rispetto al resto d’Italia, con una disoccupazione bassissima, se non nulla credo).
Nel mio caso ho scelto cosa voglio fare “da grande”, non dove voglio vivere, quindi in questo momento lo vivo piuttosto come una limitazione, però il non dover aspettare chiamate, o come lo scorso anno il 15 settembre a scuole iniziate non averne ricevuta neanche una, ecco questo è l’aspetto positivo, la certezza di lavorare da subito.

D- Mi hai emozionato molto quando hai scritto che era il lavoro che sognavi da bambina. Forse perché anche io da piccolo volevo diventare insegnante. Ma cosa ti ha spinto verso questo sogno? Cosa ami più di ogni altra cosa di questo mestiere?

R- La spinta iniziale sono state le mie maestre, una in particolare, che é andata oltre alla “Giada egocentrica”. Mi ha amata incondizionatamente così come ero e con questo spirito ho cominciato a pensare che sarei voluta diventare questo da grande. Io avevo bisogno di essere capita, compresa in tutte le mie millemila sfaccettature: Giada sì egocentrica ma anche sensibile, altruista. Non volevo essere catalogata in un aggettivo solo, volevo che fossero compresi gli altri mille, perché amavo (e amo) la scuola, era il posto più bello del mondo per me. Questo è quello che amo nel mio lavoro, andare oltre a quello che i bambini ci mostrano, soprattutto quelli più “problematici”

D- E secondo te qual è il male più grave della scuola di oggi?

R- Il fatto che non venga più considerata la scuola come un’agenzia educativa, con dentro professionisti, soprattutto da parte dei genitori anche se in primis è lo Stato a svalutare la categoria. Il fatto che tutti si sentano competenti in qualsiasi campo, la scuola non fa eccezione, soprattutto per la facile reperibilità di informazioni sulla rete. Il fatto che non si capisca che come adulti dobbiamo essere credibili, e per esserlo (e qui cito) “dobbiamo stare tutti dalla stessa parte della barricata altrimenti ogni sforzo dall’una e dall’altra parte sarà vano”.

D- Esiste a tuo avviso oggi, nella nostra società, un problema circa il ruolo della donna? E cosa significa per te essere donna?

R- I fatti di cronaca recenti mi dicono di sì, nella mia esperienza però noto come tante cose stiano cambiando in positivo secondo me. Parlo per me ovviamente, nella mia famiglia ovviamente ci sono i miei nonni, che non avevano assolutamente la libertà di fare tutto quello che faccio o ho fatto io: viaggi da sola, cambi di fidanzati continui, vacanze con le amiche… tutte cose che per loro inizialmente erano assurde e adesso sono diventate la normalità. Credo che la cronaca attuale ci stia urlando questo, la difficoltà negli uomini soprattutto nell’accettare queste donne libere e indipendenti che possono anche bastarsi da sole. Per me essere donna è questo, sapere che posso avere un compagno ma posso anche non averlo e avere comunque milioni di possibilità, la certezza di bastarmi anche da sola.

D- Ma essere intervistata, provoca imbarazzo, emozione, noia, fatica o indifferenza?

R- Emozione.

D- Torniamo a quella bambina dell’inizio. Quella bambina che bollavano come egocentrica.
Se oggi ti incontrasse, cosa ti direbbe?

R- Forse mi direbbe che probabilmente non è andato tutto come pensavamo che andasse ma che è piuttosto soddisfatta di me, di come quel suo lato combattivo continuo, seppur in piccola parte, a tenerlo vivo.

Finita l’intervista, come spesso accade mi perdo a rifletterci sopra. Tra le altre cose che le ho chiesto c’è anche quale film sceglierebbe se fosse costretta a vederne solo uno per tutta la vita. Mi ha risposto qualsiasi cosa di Virzì. E mi rendo conto che mi ha fregato, perché avevo chiesto un film solo e lei ha sparato una filmografia intera.
Fregatura a parte, cerco di capire quale film di Virzì in particolare potrebbe starle meglio addosso.
Sono molto, ma molto indeciso tra due. E alla fine scelgo “La prima cosa bella”.

A giovedì prossimo,
RL

#storiedibelleragazze
#storieRiccardoLestini

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