Argini

Sicuramente l’immigrazione è un tema delicato e complesso, destinato a dividere nei secoli dei secoli.
Sicuramente è così.
Ma la quantità sconsiderata di persone (persone?) che hanno commentato – e continuano a commentare – la morte tragica di 117 esseri umani (117, provate a contare, lentamente, partendo da 1, scandendo bene sillabe e lettere) in mare con parole di giubilo e scherno, va oltre, molto oltre, totalmente oltre il confronto dialettico tra opinioni diverse, totalmente oltre le diverse convinzioni etiche e le differenti posizioni politiche.
Dal truce e insostenibile tormentone de “è finita la pacchia” (accompagnata da emoticon di mani in festa, torte con le candeline accese, tappi che saltano da bottiglie di spumante) all’agghiacciante “tanto sarebbero diventati tutti stupratori e spacciatori”, dall’ormai leggendario “non possono continuare a farci sentire in colpa con la scusa che affogano” al devastante “non ci credo, troppo bello per essere vero”.
Se tutto questo succede, se un numero elevatissimo di persone (persone??) – tra l’altro di media cultura, normalissime e rispettabilissime, per nulla marginali e disagiate – si permette di scrivere e urlare simili abomini nella più assoluta tranquillità e in una sostanziale indifferenza (le stesse maglie della censura dei social, in altri casi attentissime, in questo caso tacciono tragicamente), siamo davvero oltre tutto.
Significa che un argine si è rotto, che qualcuno ha fatto in modo che si rompesse, che qualcuno ha garantito impunità e legittimazione a chiunque lo attraversasse.
Quell’argine oltre cui il più elementare concetto di umanità cessa di esistere.

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