Piazza Italia

C’era una volta la piazza.
Magari con le sue schizofrenie, i suoi eccessi e le sue contraddizioni. Ma di certo con la sua identità, forte e indiscutibile. Anzi, l’identità, il bisogno di mostrarla, di ribadirla o anche solo di annunciarla, era sostanzialmente il motore più profondo (e in alcuni casi pure il fine ultimo) del chiamare l’adunata in piazza. Più o meno da sempre, dalle “piazze piene – urne vuote” di Nenni fino al morettiano “non perdiamoci di vista”.
Poi è accaduto qualcosa e la piazza si è rotta, fin quasi a sparire. L’informatizzazione, si è detto e si continua a dire, l’esplosione della rete e lo spazio reale risucchiato progressivamente da quello virtuale. Sicuramente. Poi, almeno a parere di chi scrive, c’è stato (a inizio secolo) anche (soprattutto?) altro, ma non è questa la sede per affrontare un simile discorso.
Fatto sta che la piazza, come mezzo privilegiato di lotta e certificato di appartenenza, si è, o è stata, eclissata. La piazza protagonista di questi ultimi anni è stata quella virtuale, liquida e indefinita. E quando la piazza reale è tornata a riaffacciarsi e a ripresentarsi, lo ha fatto con l’indefinitezza e la liquidità della piazza virtuale.
In poche parole, la piazza odierna ha tutto tranne che un’identità. Al contrario, non possiamo che chiederci, davanti alla folla che manifestando si prende la piazza siamo quasi sempre obbligati a chiederci: ma questi, esattamente, chi sono?
I gilet gialli che hanno messo a ferro e fuoco la Francia e Parigi, esattamente, chi sono?
La folla che priva di bandiere è scesa in piazza settimane or sono sotto il generico slogan “Sì Tav”, esattamente, chi è?
Probabilmente è questo essere liquidi, indefiniti e privi di collocazione e identità, il segno della contemporaneità e dei tempi che viviamo. Probabilmente è proprio nell’essere liquidi che trova senso e legittimazione il fare politica oggi. Probabilmente è così, ma è un qualcosa che non smette di farmi paura.

L’unica piazza d’Italia dove ancora sopravvive il senso arcaico dell’appartenenza e dell’identità è quella del No Tav, che nell’esserci e nel continuare a manifestare manifestandosi, continua a dare senso e seguito a una storia importantissima lunga più di venticinque anni.
Forse per questo, per questo suo anacronistico essere piazza vera, si fa di tutto, da ogni parte, per svuotarla di contenuto, e trasformarla nella piazza delle contraddizioni governative, sponda 5Stelle. Peccato, perché la piazza No Tav ci direbbe altro. Molto altro e molto più interessante delle beghe di un governo e di un partito destinati – a differenza di movimenti identitari come questi – a passare come chi li ha preceduti.

A proposito di questioni governative, è scesa in piazza anche l’altra sponda dell’esecutivo, quella leghista.
Qui, parlare di piazza liquida o piazza identitaria ha poco senso.
La manifestazione romana della Lega è stata una chiamata alle armi, una dimostrazione muscolare in cui non tanto un partito, quanto un singolo leader ha chiesto (e ottenuto) una legittimazione plebiscitaria del suo operato e del suo ruolo nel governo.
Ora quando un governo, in parte o in tutto, si celebra e si legittima così, simili iniziative di piazza hanno un nome ben preciso. Che non c’è bisogno che lo dica. Lo sapete da soli. E se non lo sapete, il non saperlo e il non rendersene conto, è il motivo principale per cui tutto questo accade.

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