Crisi di sistema

Dalla crisi politica al crack di sistema.
Parlare di stallo, di difficoltà di far partire un esecutivo, è ormai superfluo. Caduto il veto per eccellenza, ovvero quello di Berlusconi, è ormai solo questione di ore e il tormentato e sospirato matrimonio di governo tra i due eterni promessi sposi Di Maio e Salvini si farà. Ma è superfluo soprattutto perché, se la crisi di governo rientra, quella di sistema resta.
Di crisi politiche la repubblica italiana ne ha attraversate a decine, alcune ben più gravi e drammatiche di questa, ma c’erano i grandi partiti a fare da garanti e architravi del parlamento, gli apparati e gli ordinamenti a garantire il funzionamento della complessa macchina dello Stato anche se priva di timoniere, gli organi super partes a farsi tutori dell’ordine e della democrazia.
Ma negli ultimi due mesi il sistema, ovvero lo Stato, si è mostrato nudo e fragile come non mai, fino a frantumarsi definitivamente. Non ci sono più i partiti, o almeno non svolgono più quel ruolo e quella funzione di garanzia e puntello del meccanismo parlamentare. E gli apparati, gli ordinamenti e gli organi super partes si sono dissolti in una polvere di inutilità e impotenza.
Non parlo e non entro nel merito, almeno non adesso, del nascituro governo né dell’alleanza che gli darà vita. Il discorso, ripeto, è un altro ed è indipendente da chi e come andrà a formare un esecutivo. Parliamo di una crisi di sistema senza precedenti, molto più grave, inquietante e preoccupante di qualsiasi vuoto governativo.
Più che da trattative estenuanti, contraddittorie, a tratti paradossali e grottesche, il governo nasce da un pericoloso gioco d’azzardo incrociato che ha seriamente rischiato di sfiduciare la massima carica dello Stato. E allora le domande, urgenti e impellenti, che dobbiamo porci, sono ben altre: a che serve la Costituzione, a che serve richiamarsi continuamente al suo rispetto se se ne bypassano le fondamenta? A che serve la Costituzione e, almeno a parole, ergersi continuamente a suoi difensori se si accetta a cuor leggero di correre il rischio di sfiduciare il presidente della Repubblica, se si accetta di rischiare di far venir meno tutto il sistema complesso di pesi e contrappesi su cui si regge la nostra democrazia? A che serve la democrazia parlamentare se tutti si comportano come se non esistesse, se tutti ragionano di candidati premier come fossimo in un sistema presidenziale? A che serve lanciare anatemi contro la legge elettorale se poi ci si dichiara disposti a tornare al voto senza cambiarla? A che serve dichiarare di voler cambiare in meglio il sistema se poi il gioco è solo quello di indebolirlo fino a svuotarlo?
Perché è il vuoto, il più assoluto e agghiacciante vuoto istituzionale quello con cui la politica, e noi cittadini, dovremo misurarci domani. Un sistema non logoro, ma esaurito, di cui la schizofrenia imbarbarita di questi giorni non è la causa, ma il prodotto ultimo, la conseguenza definitiva.
Il governo che verrà dovrà fare i conti prima di tutto con quest’assenza di rete e di strutture. La sua tenuta, più che dalle politiche che intraprenderà e dalle eventuali rissosità interne, dipenderà da una domanda cruciale: quanto può reggere una politica senza Stato?
Il vecchio adagio ricorda come dalle macerie si possa soltanto ricostruire.
Ma dubito che questa classe politica ne abbia minimamente le capacità.

#specialeElezioni2018
#resistenzeRiccardoLestini

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *