La parola Molise esiste

Nello stillicidio caotico e grottesco del dopo voto, dove tutti cercano una quadra che non si capisce quanto in realtà vogliano veramente trovare, la politica ha anche scoperto l’esistenza del Molise.
Questa regione dimenticata, ignorata, se non addirittura derisa dai più, si è improvvisamente trovata al centro della scena, quasi come un Ohio de noaltri, come se queste isolate elezioni regionali potessero di colpo sciogliere ogni nodo e risolvere in ventiquattro ore l’ingorgo istituzionale in cui il paese è precipitato da due mesi.
Stando ai risultati (lo spoglio è ancora in corso, ma i dati paiono molto netti), i Cinquestelle non sfondano (alle politiche avevano ottenuto un rotondo 40%), addirittura arretrano, attestandosi intorno al 36,5%. Il centrodestra è avanti di otto punti, ma al suo interno la Lega non sopravanza Forza Italia, che si mantiene saldamente, almeno da queste parti, primo partito della coalizione.
In definitiva queste piccole elezioni diventate di colpo gigantesche, non fanno altro che confermare i dati nazionali del 4 marzo: centrodestra prima coalizione, Cinquestelle primo partito, sinistra non pervenuta e né Salvini né Di Maio fanno quello scatto desiderato da spendere nella partita nazionale.
Ma – mi chiedo – anche a fronte di risultati totalmente diversi, cosa sarebbe dovuto cambiare? Mi spiego meglio: come è possibile tradurre i risultati di un’elezione regionale (con un’affluenza inferiore del 25% rispetto al 4 marzo, un voto legato al territorio dove, come spesso accade, i Cinquestelle sono ovviamente più penalizzati) in termini nazionali?
La verità è che questa folle e compulsiva smania di Molise svela come la classe politica italiana, nel suo complesso, sia a suo agio e sappia lavorare soltanto in una campagna elettorale perpetua, incessante. Alla resa dei conti, all’atto del concreto e al momento di governare, tutto si sgonfia in una evidente e avvilente mediocrità.
Intanto oggi, se lo schema tracciato dai quirinalisti più accreditati corrisponde al vero, dovrebbe essere il giorno di Fico.
Toccherà al presidente della camera il secondo mandato esplorativo, dopo il fallimento della Casellati. A differenza della presidente del senato, Fico avrà un raggio d’azione a tutto campo, ovvero potrebbe – e lo farà – chiamare in causa anche il PD. Un mandato ben più imprevedibile del primo, che potrebbe tanto essere la premessa della chiusura di una trattativa (in realtà mai iniziata) tra Movimento e PD e di un incarico politico a Di Maio (che a quel punto tratterebbe direttamente con Salvini), quanto l’avvio di una faticosa trattativa per formare (dal nulla) uno strano asse grillini-piddini. Oppure la certificazione definitiva dell’impossibilità di trovare soluzioni e il via libera al “governo del Presidente”.
L’unica certezza è che un esecutivo no, non è proprio dietro l’angolo.

#specialeElezioni2018
#resistenzeRiccardoLestini

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