Per tanto amore la mia vita si tinse di viola

Questa mattina vi offro un caffè forte e intenso. Uno di quei caffè nerissimi e corposi che bruciano nelle buie mattine d’inverno e scuotono nelle albe infuocate d’estate.
Quei caffè che trasudano passione e carnalità, bevuti quasi con rabbia, tutti d’un fiato e che il fiato lo tolgono. E lasciano tra le labbra e la gola il sapore dolceamaro della frenesia e del desiderio, che profumano di bar e di occhi inquieti incrociati per caso, di amori esplosi nello spazio di uno sguardo o di una camminata. Che hanno lo stesso respiro di mani frementi che si vogliono e si cercano, di schiene percorse da brividi bollenti e di cosce sudate e impazzite. Che lasciano senza fiato come corpi palpitanti che si scivolano addosso come chiazze di tramonti nel mare senza chiedersi altro, che vivono nella promessa di un niente e nell’eterno presente di un orgasmo che lascia graffi sulla schiena.
Quei caffè che sanno di viola, poiché viola è il colore delle passioni torrenziali e fuggenti, del fruscio inquieto di vesti leggere lungo pelle nuda e tremante, dei baci muti e infiniti che sono già amplesso, delle nudità inarcate nel mistero eterno dell’aversi.
L’unico caffè che può accompagnare questo splendido e disarmante sonetto di Pablo Neruda, che non si legge ma si sente, non tocca ma brucia, non accarezza ma spoglia. Questo sonetto impossibile e palpitante che inanella parole dense come un morso alle labbra, una veste scivolata, un abbraccio che possiede. Questo sonetto che è amore e corpo senza altro da aggiungere. Irrimediabilmente folle e irrimediabilmente viola.
Buona lettura.

Per tanto amore la mia vita si tinse di viola
e andai di rotta in rotta come gli uccelli ciechi
fino a raggiungere la tua finestra, amica mia:
tu sentisti un rumore di cuore infranto

e lì dalle tenebre mi sollevai al tuo petto,
senz’essere e senza sapere andai alla torre del frumento,
sorsi per vivere tra le tue mani,
mi sollevai dal mare alla tua gioia.

Nessuno può dire ciò che ti devo, è lucido
ciò che ti devo, amore, ed è come una radice,
nativa d’Araucania, ciò che ti devo, amata.

È senza dubbio stellato tutto ciò che ti devo,
ciò che ti devo è come il pozzo d’una zona silvestre
dove il tempo conservò lampi erranti.

#uncaffèconpessoa

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