Chiacchiere da bar

Al bar, almeno dove il bar – inteso come luogo d’incontro e condivisione di brevi pomeriggi e lunghissime serate – esiste ancora, si discute di donne, di motori, di metodi infallibili per diventare milionari col Gratta e Vinci. Soprattutto, si discute di calcio. Ci si azzuffa e ci si accapiglia – come fosse una questione di vita o di morte – su un rigore non concesso, un fuorigioco inesistente fischiato per errore, si processa la pippa di turno, ci si divide tra questo o quell’altro campione. Se poi la discussione si eleva ad argomenti più seri e importanti – politica, elezioni, immigrazione, disoccupazione e via dicendo – lo si fa nello stesso identico modo, con lo stesso identico tono: zuffa, rissa verbale, urlacci fini a sé stessi, schieramenti e fratture insanabili. Salvo poi mettersi tutti d’accordo con un grappino e un brindisi rumoroso.

Sono le cosiddette – e leggendarie – “chiacchiere da bar”, modo di dire che si perde nella notte dei tempi e che sta ad indicare tanto la bassezza e la frivolezza degli argomenti trattati, quanto la riduzione di questioni “alte” a pura ciarla e pura quisquilia.
E se il bar, come si diceva, è specie in via d’estinzione, le “chiacchiere da bar”, in questi tempi grotteschi che ci sono toccati in sorte, si sono trasferite altrove. O meglio, si sono trasferite ovunque.
Qualunque tema più o meno importante, dalle crisi di governo alle elezioni, dalle primarie on line dei Cinquestelle a quelle nelle sedi di partito del PD, dagli sbarchi alla crisi economica, dal femminicidio alla disoccupazione, oggi come oggi, è solo ed esclusivamente “chiacchiera da bar”. Solo che, particolare non da poco, non si svolge più dentro il bar, ma dappertutto. In particolare in quelle sedi che, fino a ieri, erano proprio il contraltare della chiacchiera da bar, vale a dire i luoghi dove gli argomenti “seri”, “alti”, “importanti” e “decisivi”, venivano trattati, discussi e sviscerati come meritavano, vale a dire seriamente, con competenza, spirito critico, profondità di analisi e credibilità.
Luoghi – e momenti – come il comizio di piazza, il dibattito in tv, il fondo di giornale, fino ad arrivare allo stesso Parlamento, sono sempre più una specie di bar, senza sedie né tavolini, ma dove qualsiasi questione è ridotta a farsa, chiacchiericcio, zuffa, tifo selvaggio, urla a caso. Con i cosiddetti “addetti ai lavori” – politici, giornalisti, esperti, intellettuali – sempre più mutati in grotteschi, orrendi e impresentabili “parlatori da bar”.

Prendendo spunto da un bellissimo fondo di Curzio Maltese apparso sull’ultimo Venerdì di Repubblica, è dunque più che lecito chiedersi: in un mondo dove il Parlamento è un circo di scimmie urlatrici che ogni giorno offrono i più triti e pietosi spettacoli, dove anche le più accreditate testate nazionali cedono sempre più alla logica del sensazionalismo e della cronaca-splatter, dove intellettuali ed esperti si mescolano e si confondono ai tronisti e ai bulimici dell’ospitata televisiva, dove anche il più drammatico e serio degli argomenti è ridotto a urla e logica di tifoserie, non è che forse la chiacchiera da bar “originale”, vale a dire il buon vecchio calcio, le diatribe interminabili su un rigore non dato, su un giocatore non schierato, le ore e ore sputtanate a urlarsi addosso se è più forte Messi o Cristiano Ronaldo, lo scannarsi sull’utilità o meno del VAR, sia davvero l’unico argomento serio e degno di nota rimasto a questo mondo?

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