Umanità anno zero
“Stupratela”
“Tenetevela pure”
“Se l’è cercata”
“L’ennesima oca giuliva”
“Poteva starsene a casa ad aiutare gli italiani”
“Fateci un favore, uccidetela”
Sono solo alcune delle frasi comparse in questi giorni sui social a proposito della vicenda di Silvia Romano, la cooperante sequestrata in Kenya.
Voi che le avete scritte, condivise o anche solo pensate, siete quelli che quotidianamente avvelenano della più ignobile violenza l’aria che respiriamo, che quotidianamente trasformano la logica della massa in logica del branco, e che nelle pieghe del branco – protetti dall’ombra, dal non mostrarsi, da uno schermo e da una tastiera, dal nascondersi nel coro urlante la più orrenda sporcizia morale – trovano un riscatto (vuoto, ma tragicamente vociante e impettito) al loro non essere nulla, alla loro atroce inconsistenza.
Quelli che davanti a qualsiasi azione e a qualunque persona fuoriescano e mettano in discussione la logica trita e imbolsita del pantano della loro mediocrità, reagiscono terrorizzati – perché è la paura l’essenza del loro essere e del loro agire – attaccando a testa bassa, nel buio, con cieca violenza, nel rifiuto più totale del confronto, del dialogo, dell’argomentazione.
Quelli che se questo qualcosa o questo qualcuno è giovane e donna triplicano gli attacchi e le violenze, in un miscuglio mortale di ignoranza e cattiveria, rancore e squallore, bigottismo e moralismo.
Quelli verso cui provo soltanto pena. Non quella pena che sfocia in una sorta di pietà cristiana, che pure sarebbe un sentimento nobile, ma quella che si traduce sempre e soltanto nel disgusto.
Perciò,a voi che avete scritto, condiviso o anche solo pensato quelle parole, anche se probabilmente non ce n’è bisogno, chiedo di non stare qui, su questa pagina.
Perché ogni anfratto pubblico della rete è a suo modo luogo di confronto, dibattito e condivisione. E vi assicuro che, voi ed io, da confrontare, dibattere e condividere, non abbiamo proprio niente.