Matilde scrive

“Gli uomini sono malati e costringono anche noi donne ad ammalarci”, scrive Matilde alla sorella dopo l’ennesima storia fallimentare, dopo l’ennesimo uomo sbagliato.
Le parole le escono finalmente fluide, in un flusso continuo e naturale, così naturale che non ha nemmeno il tempo di pensarci. E scrive:
“Restare bambini sarebbe una cosa splendida, se per restare bambini si intendesse libertà, contemplazione, purezza, stupore e sorpresa. Ma sono proprio queste le cose che gli uomini perdono subito, proprio queste le cose che reputano immediatamente stupide e imbarazzanti. Dell’essere bambini conservano il più spaventoso egocentrismo, la maleducazione, l’ignoranza e l’indolenza, l’allergia a qualsiasi tipo di responsabilità, la codardia, l’incapacità di scegliere. E allora ci ritroviamo in casa questi maschi di trenta, trentacinque o quarant’anni che si vestono come bambini, che non sanno pensare ad altro che a se stessi come bambini, che frignano se la mamma li sgrida come bambini, che non sanno staccarsi dalla sottana della mamma come bambini, che giocano alla playstation e alla wii come bambini idioti e quando vincono ridono soddisfatti come se fosse quella la libertà, che ruttano ridendo, che si mettono le dita nel naso e si grattano le palle come bambini scemi, che sanno solo mostrare muscoli e scendere alle più deprimenti competizioni ormonali. E noi non siamo da meno. Ci adattiamo alla loro idiozia da secoli, scrolliamo le spalle come davanti all’inevitabile e ci rassegniamo. Abbiamo così tanto bisogno di essere amate che finiamo per accettare tutto quanto. Abbiamo così tanto bisogno di avere un uomo vicino, un surrogato di padre accanto, che finiamo per considerare i loro più tetri infantilismi come la cosa più normale del mondo. E allora accettiamo di essere territorio di conquista prima, macchine da kamasutra poi e mamme alla fine, e mamme non per i nostri figli, ma per i nostri uomini. Siamo state educate così tanto a un modo distorto e avvilente d’essere donna che ci gettiamo a testa bassa nel disordine malato e inaccettabile degli uomini, convinti che la nostra missione sia quella di accudirli, rifargli il letto, dargli da mangiare, tenere le loro borse da lavoro in ordine, pulirgli la casa e assecondarli nei loro piagnistei. Siamo così accecate che scambiamo per artisti uomini rivoltanti e senza regole, sporchi e sconsiderati, che scambiamo per uomini maturi esseri maniacali che credono che diventare grandi corrisponda al fare carriera, che scambiano la smania di possesso per gelosia, l’arrivismo per carisma, il bisogno di controllo sulle nostre vite per attenzioni. E quando apriamo gli occhi, solitamente è troppo tardi”. Matilde si ferma e beve tutto d’un fiato un bicchiere d’acqua riempito fino all’orlo. Non sa se abbia davvero senso spedire queste parole così dure e perentorie a sua sorella. Ma di sicuro ha senso scriverle per se stessa. E allora riprende la penna e continua: “Voglio un uomo che sogni come un bambino e che viva come un adulto. Voglio un uomo che sappia capire i miei giorni silenziosi e la mia schiavitù alle lune. Voglio un uomo che mi accompagni nell’attraversare le strade senza stringermi troppo, un uomo che sappia lasciarmi libera senza ricattarmi, che mi lasci andar via senza dimenticarmi. Un uomo che sappia scegliermi. Chiedo troppo? Forse sì, anzi sicuramente chiedo troppo. Ma io non sono venuta al mondo per rassegnarmi, non ho iniziato a vivere per accontentarmi. E allora sì, lo scrivo ancora e scrivendolo lo urlo con tutto il fiato che ho in gola: voglio un uomo che sappia volare restando coi piedi per terra. Un Uomo. Ciao, stammi bene.”