Lettera a mio figlio

Caro, carissimo figlio mio,
è strano pensarci adesso, adesso che ho solo trentacinque anni, adesso che non so ancora che direzione prenderà la mia vita e adesso che mi sento…già, come mi sento? Dieci anni fa mi sentivo immortale. Oggi non mi ci sento più ma continuo a pensare alla morte come a un’eventualità che non mi riguarda.
Eppure, strano a dirsi, un giorno io non ci sarò più.
Un giorno sparirò da questo mondo, e di tutte le cose fatte – giuste, sbagliate, grandiose, mediocri – tu sarai la mia traccia indelebile, la più importante, la più sensibile e senz’altro la più amata.
In questo strano giorno in cui ti sto scrivendo tu ancora non esisti. Non sei nemmeno un’ipotesi. Non so se sarai maschio o femmina, e non so nemmeno se nascerai mai. Oggi tuo padre è solo un trentracinquenne confuso, imbrigliato in una tela contorta e difficile da capire. Da quand’ero bambino, ho sempre pensato che un giorno avrei incontrato una donna che avrei amato al punto da decidere di metterti al mondo. Questa donna non l’ho ancora incontrata. O forse è semplicemente troppo difficile dividere una vita, stare insieme per sempre, superare ogni ostacolo e non lasciarsi mai. Ma come quand’ero bambino, continuo ad aspettarla questa donna.
Non se ne nascerai mai, mio adorato. Io ho deciso comunque di scriverti. E voglio scriverti oggi, adesso che non ci sei, adesso che non sei nemmeno una possibilità. Ti scrivo adesso che sulle spalle non ho la responsabilità di prenderti in braccio e tenerti la mano, la responsabilità di rimproverarti e di farti felice. So che dal momento in cui ti guarderò la prima volta negli occhi sarà terribilmente difficile scriverti. Sarò troppo impegnato a crescerti e spesso sarà troppo difficile anche solo parlarsi.

Per prima cosa ti chiedo di perdonarmi. Perché di sbagli ne farò tantissimi. E anche se li farò tutti con amore e per amore, a volte questi sbagli saranno tremendi e irreparabili. E per questo ci saranno giorni in cui mi odierai, perché finché sarai bambino io per te sarò un dio bellissimo e invincibile, e mi stringerai la mano con una fiducia così assoluta che mi lascerà senza fiato e mi scioglierà il cuore. Finché sarai bambino ascolterai ogni mia singola parola come una verità assoluta, indiscutibile, e sarai fiero di me senza chiedere nulla in cambio. Ma un giorno crescerai e la vita ti apparirà diversa e improvvisamente difficile, smetterai di sentirti unico al mondo e conoscerai milioni di persone. Avrai sedici, diciassette anni e di colpo tutto ti sembrerà troppo stretto, inizierai a smaniare e a maledire un mondo che non capisci e non ti capisce, un mondo dalle mille facce, spesso troppo triste, grigio e cattivo. In quel momento mi odierai, perché questo mondo non sarò stato capace di spiegartelo e perché, da giovane, non sono stato capace di cambiarlo. Io mi sentirò vecchio e incapace di prenderti in braccio, inadeguato alla tua giovinezza. Quel giorno in cui ti sentirai cresciuto io ti sembrerò un uomo di poco conto, forse fallito, antico e senza più niente da dire. Forse ti apparirò squallido, squallido il mio modo di dormire e squallido il modo in cui continuerò ad amare tua madre. E forse dirai che da grande non sarai mai come me. Ti sentirai tradito, perché la vita è una promessa e io non avrò saputo mantenerla. Ma poi crescerai ancora e capirai che la vita fa male anche a me, proprio come fa male a te, e che negli anni ho cercato semplicemente di fare del mio meglio, come tutti. Allora sì, allora tornerai ad essere fiero di me.
Vorrei che questa lettera ti servisse. E che servisse anche a me, per dirti tutte quelle parole e darti tutti quei consigli che a parole sembreranno stupidi e patetici, per me dirteli e per te ascoltarli.
Non so se mi somiglierai. Spero che tu sia più forte di me, meno fragile e meno insicuro. Mentre invece spero tu possa avere il mio stesso entusiasmo, il mio stesso folle amore per la vita e per le persone. Non so se mi somiglierai: sicuramente avremo qualche centimetro di viso perfettamente uguale, qualche stessa identica espressione. Sappi che tutte le volte che ti ho fissato in modo strano, l’ho fatto proprio perché stavo guardando quelle parti di me che si sono impresse su di te come una fotocopia. Sappi che ero solo emozionato. Emozionato per la tua esistenza.
Figlio mio, sappi anche che tu mi sopravviverai e che un giorno dovrai vivere senza di me. Te la dovrai sbrigare da solo e non saprai come fare. Non dimenticare mai che nessuno lo sa. Tutti fanno finta di saperlo, ma nessuno lo fa. Nessuno sa come non aver paura della morte, come far innamorare le altre persone, come far andar bene un esame o come rendere una vacanza indimenticabile. L’importante è non banalizzare mai la vita. Mai. Fai di ogni cosa che ti succede una lezione. Impara qualcosa da ogni persona, da ogni avvenimento, da ogni strada. Perché la vita, mio adorato, è piena di cose belle e importanti. E anche tu avrai le tue, le tue felicità che ti arriveranno dentro gli occhi, che sentirai sotto la pelle e ti faranno tremare. E nessuno te le potrà mai portare via. Capito? Nessuno.
Ognuno ha le sue, di cose belle. Io ho avuto le mie, e anche se non ti servirà sapere quali siano state, se vuoi te le dico:
il gol di Marco Tardelli visto in televisione la notte dell’11 luglio 1982,
le figurine dei calciatori,
una bambina che a nove anni mi prese per mano e mettendomi un dito sulle labbra mi disse di stare zitto e guardare assieme a lei le stelle,
dormire da bambino abbracciato a mia nonna nella casa in collina,
un film in cui alcuni ragazzi, in una scuola, hanno il coraggio di salire in piedi sul banco e gridare “Oh capitano, mio capitano!”,
un disco dei Doors, ascoltato e riascoltato fino a consumarlo l’inverno dei miei 17 anni,
i capelli della mia compagna di banco al ginnasio che si posavano sul mio libro,
i pomeriggi della mia adolescenza passati con Sandro e Samuele a raccontarci storie, sognare e guardare il tramonto,
le canzoni di Fabrizio De André
i fumetti di Dylan Dog,
le lentiggini di certe ragazze viste in Irlanda,
tutte le notti passate a scrivere che quand’ho finito e rileggo sempre sono felice e mi commuovo,
il giorno della mia laurea, quando dalla gioia mi sono versato una bottiglia di spumante in testa.

Ma ce ne sono tantissime altre, figlio mio, e forse non ti ho detto nemmeno le più importanti. Ma non importa, tu avrai le tue e ti faranno sognare. Perché ognuno ha diritto alle sue gioie. Avrai gioie, sapori e baci, film e canzoni, e saranno le colonne sonore della tua vita. Avrai attimi che ti ricorderai per tutta la vita, perché la felicità è un attimo che riesce a riscattare un anno di sofferenze. Avrai la tua vita e io non potrò farci niente. Prometto di lasciarti libero. Non ti chiederò mai l’impossibile, non ti chiederò di essere più bravo di me, di fare quello che non sono riuscito a fare. Non ti costringerò alla vita che non sono riuscito a vivere.
E avrai anche tanti, tantissimi dolori. Dovrai dire addio a un sacco di gente, vivrai separazioni tremende come uragani, amerai senza essere corrisposto, lascerai e verrai lasciato, gli altri rideranno di te e tu vorrai nasconderti e morire. Vedrai uomini uccidersi senza un perché, vedrai strade piene di disperazione, mendicanti, persone smarrite, guerre, bombe, morte e sofferenza. Vedrai tutto questo e troppe volte ti sentirai impotente.
Tu vivi sempre con onestà e leggerezza. Non rubare mai meriti a nessuno, non prevaricare, non essere mai prepotente, cerca di essere generoso senza chiedere mai nulla in cambio. Perché a volte darai tantissimo senza ricevere niente e non dovrai disperartene. E sappi che non c’è niente che si conquista facilmente, perché ogni piccola cosa costa rabbia, sudore, fatica.
A volte ti sentirai perduto e smarrito e non saprai come venirne fuori. Avrai bisogno di incoraggiamento e di amore ma nessuno sarà capace di dartelo. Te li dovrai conquistare, perché tutti, tutti quanti hanno bisogno di conforto, tutti hanno il diritto di amare e di essere amati. Tutti hanno questo diritto per il semplice fatto di esistere. Perché adorato figlio mio, in fondo conta solo l’amore. Non vivere di rabbia, perché la rabbia porta solo alla sconfitta. Vivi d’amore, ama ogni cosa, fai l’amore con amore. Non farti vincere dall’invidia e dall’egoismo, procedi per la tua strada e continua ad amare qualsiasi cosa succeda. Non perderti. Non rinunciare mai a combattere, non vergognarti mai di piangere e di combattere con le lacrime alla gola. È sempre giusto combattere in nome dell’amore.
Perdonami ancora se a volte non saprò cogliere i tuoi entusiasmi, se per il tuo compleanno ti farò il regalo sbagliato, se saranno tante le cose che non saprò insegnarti. Quello che posso darti è tutto qui, in queste parole. Potrò insegnarti il rispetto per gli altri, a lavare i piatti subito dopo averli sporcati, a cercare la verità in ogni cosa, perché ogni cosa, ricordati, ha una scintilla di verità. E potrò insegnarti a non trattare mai nessuno con sufficienza. Perché nessuno merita di essere tratatto con sufficienza.
E adesso, adorato figlio mio, le lacrime alla gola sono le mie. Piango per l’amore e per il bene che ti voglio senza averti ancora incontrato. Piango io, che non sono ancora padre e forse non lo sarò mai. Ma oggi, strano giorno d’inverno, tu sei reale e in questa stanza riesco quasi a vedere i tuoi occhi.
E allora sono convinto che un giorno nascerai. Un giorno verrai al mondo, e forse non sarai nemmeno mio figlio. Tuo padre sarà qualcun altro, qualcun altro con le mie stesse ansie e le mie stesse disperazioni. Ma questo adesso non conta niente. Quello che conta è che tu, da qualche parte nel mondo, nascerai, e che io abbia avuto il tempo, la forza e il coraggio di scrivere queste righe. E che tu un giorno le leggerai.
Ho voluto scriverti oggi perché volevo che a parlarti fosse il me stesso di adesso, adesso che ancora non ho rinnegato niente di tutto ciò che ho sempre pensato. Volevo che tu mi sentissi adesso, ancora giovane, perché potessi capire che tuo padre, proprio quello che ti firma le pagelle della scuola, è stato anche lui ragazzo. È stato un ragazzo, e forse un giorno, inciampando, piangendo, gridando e dibattendosi ha conquistato il diritto a farsi chiamare uomo.

Riccardo Lestini (2011)

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