La censura su Facebook

Un tempo mi ci arrabbiavo e basta. O meglio mi ci imbestialivo, completamente e senza altra soluzione.
Poi, venendo man mano a conoscenza dei criteri che regolano censura e rimozione dei post sul social network più affollato del mondo, oltre a continuare ad arrabbiarmi, ho cominciato a vedere anche tutto il lato grottesco e ridicolo. Finendo inevitabilmente per riderci sopra. E non poco.

Prima di tutto ci sono le foto. E su questo i parametri di Facebook, almeno in teoria, sarebbero chiari. Ovvero qualunque post, sia di semplici profili, di gruppi o di pagine pubbliche di privati, gruppi o aziende, che pubblicano fotografie “pornografiche”, vengono puntualmente rimossi.
Non solo: l’account in questione viene anche bloccato temporaneamente. Dodici o ventiquattro ore, due giorni o due settimane, a discrezione di Facebook. Che, in casi particolarmente gravi e ripetuti, può pure disporre la chiusura definitiva dell’account.
Detta così non fa una piega. Chi potrebbe dargli torto?
Il problema è che poi in pratica la faccenda funziona diversamente.
Ovvero:
1- i controlli non sono sistematici, ma casuali, su campioni elaborati da un software. Perciò può succedere – e succede spesso – che foto o video effettivamente pornografici, spam, virus o quant’altro, restino in bacheca e diventino virali per lungo tempo, e vengano bloccati solo dopo specifica segnalazione di uno o più utenti. Soprattutto dopo che hanno già fatto la loro buona dose di danni.
2- una volta che un’immagine viene segnalata, il controllo e la decisione se eliminarla o no (e se sospendere o meno il profilo), avvengono su standard assoluti che non tengono minimamente conto del post stesso. In parole povere: se nella foto c’è un petto femminile nudo, Facebook rimuove e fa scattare il blocco temporaneo della pagina a prescindere. Con effetti grotteschi: non si censura magari un’immagine di miss maglietta bagnata piena zeppa di considerazioni degradanti e maschiliste perché il petto, di fatto, non è nudo. Ma si censura un quadro di Modigliani perché la donna rappresentata è nuda. Trasformando così il sistema delle segnalazioni in una bolgia infernale. Sarebbe diritto/dovere di chiunque segnalare la pornografia, ma con questo sistema io posso segnalare una immagine che pornografica non è solo perché mi sta sulle palle l’autore del post, e voglio fargli bloccare l’account. Il che, manco a dirlo, accade di continuo.
3- storie di vita vissuta: per ben due volte mi è stato rimosso un post e bloccata la pagina per un articolo che riportava l’immagine di una mostra sull’omosessualità, una foto d’autore con due donne a petto nudo abbracciate. L’articolo oggi lo trovate sul mio sito (www.riccardolestini.it, nel motore di ricerca digitate “Dove l’omosessualità è ancora un tabù “), e vi invito a guardarlo e a valutare da soli se l’immagine è pornografica o meno.

Poi, le cose incomprensibili.
Quale che sia il motivo della rimozione, ovviamente Facebook è tenuto a comunicartelo spiegando pure, per sommi capi, il motivo.
Quasi sempre è così.
Quasi appunto.
Il mio post “Sposati e sii sottomessa”, sul femminicidio, 5 milioni di visualizzazioni, è stato improvvisamente rimosso. Così, senza spiegazioni. Sparito nel nulla. E non aveva alcuna immagine vagamente riconducibile ai motivi censurabili di Facebook (anche questo, lo trovate sul sito).
Da tre mesi chiedo chiarimenti, ma ancora tutto tace.

Dove invece il controllo è sistematico e non aspetta né la casualità del software né le segnalazioni degli utenti, è nei “post in evidenza”, ovvero quei post di pagine pubbliche che il privato o l’azienda decide di promuovere con una sponsorizzazione.
In questo caso, controllo sistematico su tutto: immagini e contenuto.
E i risultati, se possibile, sono ancora più grotteschi. Perché non si analizza realmente il contenuto, ma il software rileva alcune parole “proibite” in automatico che fanno scattare il blocco.
Sempre per la serie “vita vissuta”, ecco due episodi esilaranti:
1- mi scrivono “il tuo post in evidenza non è stato accettato perché promuove MATERIALE PER ADULTI”.
Si trattava di “Rebecca”, un RACCONTO D’AMORE, che però aveva come immagine un dipinto di una donna di schiena e velata (quello, per Facebook, era il materiale per adulti).
2- mi scrivono: “il tuo post in evidenza non è stato accettato perché contiene giudizi e riferimenti relativi all’età, al sesso e al l’orientamento sessuale degli utenti”.
Si trattava di un post sul PROCESSO A MARIA ANTONIETTA.
“L’utente” offeso era quindi Maria Antonietta. Le offese consistevano nel fatto che c’era scritto “ad appena 38 anni”; “fu accusata di lesbismo”; “costrinsero il bambino di dieci anni a firmare un falso documento in cui accusava la madre di averlo iniziato a pratiche incestuose e masturbatorie”.
Sostituiti i 38 anni con “trentottenne”, lesbismo con “amore saffico” e tolta la parola “masturbatorie”, il post è stato accettato.

Certo che controllare davvero miliardi di post al giorno non è impresa semplice.
Ma va comunque da sé che dal social network più importante del mondo, un po’ più di serietà sarebbe quanto meno auspicabile.

#resistenzeRiccardoLestini

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