LOU REED – “Walk on the wild side”

Si racconta che in quel 1972 Lou Reed fosse completamente a pezzi.

A pezzi e senza l’ombra di un futuro, visto che la RCA voleva onorare gli obblighi contrattuali con l’artista (un solo album, da incidere il più in fretta possibile), e poi sbatterlo fuori a calci in culo.

Poi però sulla strada dell’ex frontman dei Velvet Underground capitò David Bowie, che fece tre cose.

Punto primo, tirò fuori Lou Reed dalla merda in cui era precipitato.

Punto secondo, diede al cantautorato rock e asciutto di Reed un forte colorito glam, con qualche spruzzata qua e là di buon vecchio jazz.

Punto terzo, convinse Reed a continuare a raccontare le sue storie.

E le sue storie erano un immenso romanzo sotto forma di musica di bassifondi e personaggi limiti.

E le sue storie raccontavano di tossici, prostitute e transessuali.

Fu così che nacque WALK ON THE WILD SIDE, più che una canzone, più che una leggenda.

Un’uscita dalla merda in grande stile.

Un cantautorato rock della madonna colorato di glam e spruzzato di jazz.

Una poesia leggera e miracolosa che racconta di come Holly, venendo da Portorico a Los Angeles per diventare donna, si depili le gambe lungo le strade; di come la transessuale Candy non perda mai il controllo, nemmeno quando succhia cazzi; di come Little Joe batta i marciapiedi di New York e di come Jackie mescoli valium e anfetamine…

Così, come solo Reed sapeva fare.

Senza drammi, senza morale e senza giudizi.

Perché il rock non sa giudicare, ma solo raccontare.

Perché era il 1972 e non c’era e non c’è proprio un cazzo da giudicare.

A tutte le volte che avete fatto un giro nel vostro lato selvaggio. Che, lo vogliate o no, esiste e spesso galoppa imbizzarrito.

Buon sabato a tutti.

#jukebox

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