Comunque vada sarà un disastro

Scrivo questa e poi basta.
Basta scrivere sul referendum e, forse, basta scrivere di politica italiana.
Di sicuro il 5, o il 6, scriverò il solito commento sui risultati, ma più per abitudine, per vizio, che per reale interesse.
È che sempre più sfugge il senso. O, più semplicemente, non c’è più da tempo.
Volge al termine la campagna elettorale più bassa e squallida della storia della repubblica.
Roba che Berlusconi che firma il contratto con gli italiani su un tavolo portato a schiocco di dita dal maggiordomo di Vespa, la Belillo che prende a calci la Mussolini o sempre la Mussolini che grida “meglio fascista che frocio”, a confronto, erano sopraffine lezioni di stile.
Una campagna elettorale fatta, da ambo le parti, di colpi bassi ai limiti della decenza, grida, insulti, raggiri. Senza che nessuno, e sottolineo nessuno, sua riuscito a entrare nel merito del referendum.
La conclusione è che entrambe le parti in causa hanno dato vita a uno spettacolo pietoso, usando la costituzione per il più bieco dei regolamenti di conti.
E pensare che io, contrario alla riforma, nei mesi passati ero partito con le migliori intenzioni: convinto del mio no, stavo quasi per mettere i piedi, e la faccia soprattutto, nella campagna elettorale, tornando alla politica attiva dopo anni. Poi, davanti al degenerare dello squallore di cui sopra, mi sono tirato fuori.
Resta il mio no, ma non esiste il mio impegno.
Non in questa situazione, non con queste regole, non a questi livelli.
E ciò che centuplica il mio sconcerto, sono le bufale continuamente raccontate in maniera spudorata, tanto dai comitati del SÌ quanto da quelli del NO.
I fautori del SÌ continuano imperterriti a raccontare di un risparmio, a riforma attuata, di 500 milioni l’anno per le casse dello stato, mentre sanno benissimo come il taglio sia pari a 57 milioni (ovvero la cifra corrispondente alla soppressione delle indennità dei senatori, e ovvero pari a un decimo di quanto dichiarato). O come l’idea secondo cui, se vince il NO, si condannerebbe l’Italia ai governi tecnici. Vero che nel caso di vittoria del NO l’ipotesi di un governo tecnico è più che verosimile, ma da qui a paventare governi tecnici vita natural durante ce ne corre: resterebbe infatti una costituzione che in 70 anni ha quasi sempre garantito governi politici, ricorrendo ad esecutivi tecnici solo in rarissimi casi.
Per non parlare delle dichiarazioni che assicurano il PIL in crescita in caso di vittoria del SÌ. Una previsione che però non poggia su alcun dato.
I comitati per il NO non sono comunque da meno, a partire dal ritornello che dichiara illegittimo questo parlamento, e quindi non autorizzato a proporre una riforma costituzionale. In realtà i genii che dicono questo sanno benissimo che incostituzionale è stata dichiarata solo la legge elettorale (il famigerato porcellum), ma non il parlamento eletto dai cittadini né la procedura che ha portato alla nomina di questo governo: lo ha ribadito la Corte Costituzionale e, soprattutto, lo dice quella stessa costituzione che i comitati per il NO vorrebbero difendere. Ed è una bufala anche la storia che, con la vittoria del SÌ, basteranno 15 voti per eleggere il Capo dello Stato: la verità è che qualora le opposizioni decidessero di disertare l’aula, occorrerebbero 221 voti, mentre in loro presenza 440. Ed è una menzogna anche l’allarme sulle difficoltà future di proporre referendum abrogativi: le firme necessarie restano 500mila, ne serviranno 800mila solo per abbassare il quorum.
Date queste premesse, mi pare più che ovvio pensare a come, in ogni caso, il 5 dicembre avremo solo macerie. Con partiti dilaniati all’interno che aspettano solo il voto per scatenare guerre fratricide: pro Renzi e anti Renzi nel PD, la resa dei conti con la Raggi e il repulisti interno al M5S, la lotta alla leadership del centrodestra e via dicendo.
Se vincerà il SÌ avremo una riforma monca, mal pensata e mal fatta, una camera di colpo con poteri mai avuti e un senato che non si capisce come sarà eletto. Con un paese meno democratico. E con l’incognita di una legge elettorale già approvata ma che, pare, andrà cambiata.
Se vince il NO, seguirà una probabile infinita campagna elettorale molto peggiore di questa, con l’armata Brancaleone che ha sostenuto il NO dissolta all’istante. Un paese impantanato dalle faide e con tutti i partiti del parlamento indeboliti e a rischio implosione.
In due parole: comunque vada sarà un disastro.
Amen.

#resistenzeRiccardoLestini