La farsa e la tragedia

Un’estrema interpretazione dello storicismo hegeliano faceva affermare a Marx la categorica impossibilità del ripetersi della storia. In particolare, l’ideologo del ‘Manifesto’, siglava come fallimentare a priori qualsiasi tentativo di applicare al presente idee, azioni, interventi, calcoli, considerazioni e strategie appartenenti al passato, fosse anche un passato estremamente prossimo e recente. Poiché idee, azioni e strategie, lungi dall’essere categorie assolute, sono figlie del contesto storico, e cioè di una realtà mutevole nel suo stesso compiersi e affermarsi. In due parole: la storia non si ripete, e se si ripete, sarà una farsa.
Scevro dal voler fare una qualsiasi apologia esegetica del marxismo, ripesco queste considerazioni alla fine di una settimana estenuante passata a osservare la (pre)campagna elettorale che sta invadendo le nostre giornate. L’impressione, triste e sconsolata, è che protagonisti diretti (forze in campo) e indiretti (mezzi d’informazione), si stiano per lo più adoperando con ogni mezzo per proporre/imporre ai cittadini un clima da ’48, uno scenario – in virtù del fantomatico passaggio dalla Seconda alla Terza Repubblica – da ‘anno zero’ della politica italiana. Ma proprio perché questo passaggio è più fantomatico che effettivo, questa volontà, ad un’analisi più attenta e meditata, appare come un forzato e sfiatato tentativo di (ri)mettere in piedi qualcosa che non c’è. Una farsesca riproposizione di qualcosa di inesistente. E, da teatrante navigato, so benissimo che il passaggio dalla farsa alla tragedia è breve. Brevissimo.
Ogni momento di svolta è dettato dalle macerie, per cui la necessità prima è quella di ricostruire, o almeno tentare di farlo, ripartendo più o meno di zero. Tradotto in termini strettamente politico-elettorali, significa che c’è bisogno che lo schieramento vincitore abbia i numeri per governare stabilmente e serenamente. Nel nostro caso questo è impossibile a priori. Andremo infatti a votare con una legge elettorale vergognosa, che contiene tutti i presupposti per rendere quasi impossibile, o comunque estremamente difficile, tale stabilità di governo. Ed è proprio su questo, al di là dei proclami di rinascita e di ‘nuova stagione della politica’, che puntano alcune delle principali forze in campo. Cioè non puntano a vincere, ma a non perdere non facendo vincere gli altri. Così, le presunte elezioni della rinascita rischiano seriamente di diventare le elezioni degli sgambetti. Ed è qui che la farsa diventa tragedia. Mentre la drammatica situazione economica (ma anche sociale, mi permetto di aggiungere) impone l’urgente necessità di un governo in condizione di essere operativo al cento per cento, le forze politiche lavorano affinché questo non accada. Ma quali saranno le conseguenze?
In tutto questo discorso rientra a pieno titolo il dibattito/scontro tra Berlusconi e Santoro andato in scena giovedì sera su La7. Annunciato in pompa magna come il match del secolo, non ha fatto che riproporre lo stesso identico schema a cui assistiamo da vent’anni: da un lato le ridicole sparate di Berlusconi contro le toghe rosse e i giudici disumani, dall’altro l’indignazione rabbiosa di Santoro. Personalmente ho seguito il programma con un senso di fastidio crescente. E non tanto per le imbarazzanti idiozie berlusconiane (a cui sono tragicamente abituato), quanto per la sensazione di assistere, più che a un dibattito politico, a una sorta di regolamento di conti tra due nemici dove, alla fine, a uscire sconfitta mi è sembrata più che altro l’intelligenza di Santoro.
Così come in tutto questo discorso rientrano le scaramucce e le pseudorisse durante le file di rito per il deposito dei simboli elettorali. Qui Grillo ha superato se stesso. Dimenticati da tempo i punti salienti del suo programma, pare aver deciso di improntare la campagna elettorale su un gigantesco complotto che i poteri forti avrebbero ordito per impedire al suo movimento di correre alle elezioni. L’arma letale per farlo fuori sarebbero, a suo dire, alcune liste civetta. Chi glie lo spiega che le liste civetta esistono dal ’48 e che, oggi come allora, sono un sistematico strumento di disturbo messo in piedi contro tutte le forze politiche? Che ogni lista, partito o movimento che si presenti alle elezioni e che si stima possa andare oltre il 4% ha, da sempre, un numero imprecisato di liste civetta con cui fare i conti? Ma non finisce qui. Il teatro dell’assurdo grillino tocca il suo apice quando l’ex comico ‘apre’ alla convergenza parlamentare con i fascisti di Casapound, quelli di ‘Radio Bandiera Nera’, quelli che ‘il ventennio fascista è stato un fiorire dell’arte, dell’onestà e dell’ironia’, quelli che ‘la democrazia è una truffa’, quelli che è necessario un ‘Ente nazionale che coordini e indirizzi l’intera produzione culturale nazionale’, quelli che ‘l’Italia non deve avere limitazioni su alcun sistema d’armi: dalla portaerei al nucleare’. Grillo giustifica la sua affermazione ripetendo che il Movimento5Stelle non è né di destra né di sinistra, che non ha pregiudiziali contro nessuno, che è aperta a tutti. Oltre che assurdo pare strano che Grillo, che ha da sempre agitato la bandiera della legalità, delle liste ‘pulite’ e dei candidati incensurati, apra a un’organizzazione ispirata a valori espressamente vietati dalla nostra costituzione. Infine, sul discorso delle pregiudiziali e dell’apertura, mi viene in mente l’indimenticato Sandro Pertini. All’inizio degli anni ’80, in un’intervista, l’allora Presidente della Repubblica alla domanda “cos’è la democrazia”, rispose “il rispetto di tutte le ideologie politiche”. “Anche del fascismo?”, lo incalzò il giornalista. “No”, rispose Pertini, “Il fascismo no, poiché fu la negazione e la cancellazione di tale rispetto”.

RL

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