Il primo giorno di scuola

Un po’ sbiadito e molto confuso, ma me lo ricordo – oh se me lo ricordo – il mio primo giorno di scuola in assoluto, alle elementari, il grembiulino azzurro, la mano di mia mamma che d’improvviso si stacca lasciandomi solo col sudore del mio palmo, i compagni tutti sconosciuti e la maestra Lavinia che per forza, senza discussioni e assolutamente doveva diventare una vice mamma entro massimo tre minuti.

E mi ricordo – meno sbiadito e meno confuso – pure il primo giorno delle medie, quel poco volersi e quel tanto doversi sentire improvvisamente grandi, l’obbligo istantaneo di vergognarsi dei giochi che fino al giorno prima ci riempivano le giornate, l’affanno impanicato nel cercarsi un posto accanto al compagno delle elementari, le compagne così cambiate e così diverse, le nuove parole, professore e professoressa, con cui familiarializzare immediatamente.

E ovviamente mi ricordo – per niente sbiadito e per niente confuso – il primo giorno al liceo, la responsabilità e la montagna da scalare, il treno delle sei e quaranta, l’autobus delle sette e dieci, lo spaesamento cosmico, la solitudine totale, l’ambiente austero di ex monastero, la classe silenziosa come non avevo mai visto né sentito, i compagni completamente sconosciuti e all’apparenza così diversi da me e chi l’avrebbe mai detto, davvero chi l’avrebbe mai detto che saremmo diventati amici a livelli inimmaginabili, che avremmo condiviso una delle avventure più belle e assurde e grottesche e feroci e disperate della vita.

Sì, me li ricordo quasi tutti, i miei primi giorni di scuola, e nel ricordarli sicuramente un po’ li mescolo e li confondo, perché si somigliano ben più di tanto e in comune hanno molto più di qualcosa. Senz’altro in comune hanno quel mescolio irripetibile e unico di adrenalina e sbadigli, aspettative smisurate e terrore, batticuore e noia, timidezza e speranza, risate e vergogna, groppo alla gola e crudeltà, smania di esserci e voglia di suicidarsi.

E oggi che a quarant’anni vado ancora a scuola, anche se siedo dall’altra parte della barricata, ogni anno, ogni maledetto settembre mi ritrovo a pensare ecco, aiuto, oddio, evviva, finalmente, merda, arriva un altro ennesimo primo giorno di scuola.

E come sempre, pure a quarant’anni e dall’altra parte della barricata, la notte prima è notte di stupida insonnia, così stupida che guardando i contorni della cucina smussati da penombra e occhi pesanti quasi ti viene da dire dove, dov’è la camomilla di mamma che calmava ansie e adrenaline?

#storieRiccardoLestini