Ettore

A me il calcio piace. Ma parecchio.
Soprattutto impazzisco per le imprese eroiche e, ovviamente, stravedo e mi infiammo per i loro artefici e i loro protagonisti. Vale a dire per gli eroi che, in quanto tali, pur essendo “tutti giovani e belli”, non sono mai dei vincenti in senso stretto. Al contrario, pur nella loro potenza, nella loro classe, nella loro genialità assolute e indiscutibili, finiscono sempre per misurarsi con sconfitte clamorose, tonfi vertiginosi, esili incomprensibili, abbandoni inconsolabili. Con vite in salita e affannose rincorse esistenziali.
Eroi che nei loro splendori sono la più pura e piena essenza della genialità, puro godimento degli occhi e del cuore, capaci di materializzare l’impossibile e l’imperscrutabile.
Geni, folli, anarchici, irregolari.
E con questi pensieri, e soprattutto con questi sentimenti addosso, la mia divinità assoluta della religione pallonara non poteva che essere Maradona, eroe plebeo e maledetto, immenso e misero, impossibile e straripante.
Ma come Dieguito è la somma divinità riconosciuta senza troppo da aggiungere o discutere, l’eroe in carne e pallone che più di ogni altro mi strazia il cuore e mi commuove al solo vederlo correre in campo, è Roby Baggio.
E se l’eroe Maradona è per forza un Achille, invincibile eppure vulnerabilissimo in quel suo tallone tragicamente scoperto ed esibito, l’eroe dal codino riccioluto è senza dubbio un Ettore, ingentilito e malinconico, ostentato e sofferente, buttato nel mucchio urlante nell’ora della vittoria e lasciato orrendamente solo nella sconfitta. L’eroe dal destino assurdo e ridicolo di essere il migliore ma di dover sempre rincorrere qualcosa o qualcuno per dimostrarlo, di essere troppo forte per essere vero ma di vedere la vittoria sempre sfuggirgli di mano all’ultimo istante, all’ultimo metro, all’ultimo calcio. Il destino assurdo e ridicolo di essere talmente immenso da essere scomodo, ingombrante, inutile. E di essere esiliato e rinnegato da tutti.
Eterno secondo e ginocchio maledetto dagli dei, ha vinto scandalosamente poco per la genialità incontestabile e inarrivabile che portava a spasso negli scarpini.
Ma Roby Baggio è un Ettore appunto, un eroe. E degli eroi non contano le vittorie, ma gli occhi, il cuore, il sangue e il sudore. Gli eroi sono tali perché capaci di rendere vittorie anche le sconfitte, anche la morte. E allora sì, mi commuovono, mi esaltano e mi emozionano di più le imprese, i gol e pure il rigore sbagliato in finale di Baggio a Usa 94 che l’impresa dell’Italia a Berlino nel 2006, gronda più gloria e leggenda la salvezza col Brescia che i due scudetti vinti facendo la riserva a Del Piero e Savicevic.
Il Brescia, appunto.
Proprio come per Ettore, il calcio italiano aveva fatto scempio del corpo di Baggio, legandolo al carro della vergogna e portando in trionfo la sua morte quasi come una liberazione. E anche in quel caso fu Priamo, ovvero Carletto Mazzone, a reclamarne il corpo, a riportarlo fra le mura amiche di Brescia restituendogli una maglia e il pallone. così che “onore di pianti, Ettore, avrai, ove fia santo e lagrimato il sangue per la patria versato, e finché il Sole risplenderà su la sciagure umane”.
Sì, ho esagerato senz’altro.
Ma oggi sono quindici anni esatti che Roby si è ritirato dal calcio.
E ancora non mi rassegno a non vederlo più giocare…

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