La tristezza delle primarie

Le Primarie, consultazioni in cui una base ha l’opportunità di scegliere da chi farsi rappresentare, sarebbero in teoria uno degli esercizi più avanzati e compiuti di democrazia partecipata.
In teoria appunto.
Perché in Italia le Primarie, sperimentate dal centrosinistra ai tempi del Prodi bis e definitivamente importate da Veltroni all’atto di fondazione del PD, non sono mai decollate in questo senso. Nella migliore delle ipotesi, si sono svolte nella sordina più assoluta e in un sostanziale disinteresse. Nella peggiore, sono state autentiche parodie delle elezioni vere e proprie, con candidati altrettanto “bloccati” ed equamente divisi tra le varie correnti di segreteria.
Un generale fallimento, quello delle primarie, che non riguarda solo PD e centrosinistra. Esperimenti simili, come le consultazioni on line del Movimento 5 Stelle, spesso più simili a un televoto da Talent Show, in quanto a grottesco non hanno certo scherzato.
Un fallimento tra l’altro, non solo mai ammesso dai protagonisti, ma quasi sempre rovesciato in clamorosi quanto fantomatici e inesistenti successi. Farsa nella farsa insomma.

Oggi tuttavia, giornata di Primarie a Napoli e soprattutto a Roma, è così evidente il clima spento e i toni dimessi che sarà molto difficile parlare di successo.
Alle primarie PD si sfidano, nell’indifferenza generale e, soprattutto, nella disaffezione e nel senso di distanza più alti di sempre, sei candidati confusi e imbarazzati, con programmi altrettanto confusi e imbarazzanti. Ci sono così poche idee che l’unica cosa degna di nota è l’orso di peluche con cui Gianfranco Mascia si presenta ai dibattiti: nelle intenzioni vorrebbe ammiccare a un celebre film ed essere simpatico, nella pratica è solo una gigantesca, squallida e deprimente tristezza. Mentre l’unico programma chiaro e vagamente sensato appare quello di Chiara Ferraro, la ragazza autistica presentata dal padre (sulla cui esposizione, in ogni caso, nutriamo molto più di un dubbio).

Sottotono, molto sottotono, anche il versante M5S. La candidata Virginia Raggi, di cui si sa poco ma che in ogni caso appare decisamente debole, è uscita anche lei da consultazioni preliminari a cui hanno partecipato poco più di tremila iscritti (francamente un po’ pochini, per una tornata così importante e decisiva). Soprattutto ci si chiede: a che serve un meccanismo così complicato di votazione (un primo turno in cui si sono sfidati 200 candidati di cui 48 hanno avuto accesso al secondo turno, dopo di che in dieci si sono qualificati per una sorta di semifinale di cui, i primi cinque, si sono giocati il ruolo di candidati), se poi – come è stato sottoscritto dalla Raggi – in caso di effettiva elezione a sindaco, tutti gli atti amministrativi di una certa rilevanza dovranno avere l’approvazione dello staff di Beppe Grillo?

Se per il PD le Primarie si chiamano effettivamente Primarie e per il M5S “Comunarie” (ma la sostanza non cambia molto), il centrodestra opta per le “gazebarie”, vale una dire una sorta di consultazione trasformata di fatto in un referendum sul nome di Bertolaso. Candidato che prima andava bene ma che poi, visto che non ha parlato di ruspe e deportazioni, ha incontrato il veto di Salvini, improvvisamente innamorato di Roma e dei romani. Identica e immutata sensazione di tristezza.

Il tutto mentre Roma annega nei disservizi, invasa dai topi e dalle buche, devastata da un deficit impronunciabile e incalcolabile, ancora ammorbata dalla corruzione, lontana anni luce da ciò che dovrebbe essere una capitale europea.
Forse, l’infelice battuta della senatrice 5 Stelle circa un presunto complotto per farli vincere, non era poi così lontana dalla realtà: a Roma, davvero, pare proprio non voglia vincere nessuno.

‪#‎resistenzeRiccardoLestini‬

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