E se poi vuoi dirmi pure di cosa devo scrivere…

Insomma, io scrivo.
Nel senso che uso la penna, diciamo così, in maniera “pubblica”. Vale a dire che scrivo e poi, quel che scrivo, lo pubblico. O almeno provo a farlo.
Sono cioè quello che, comunemente, si definisce uno “scrittore”.

Non so – e più che altro non spetta certo a me dirlo – se sono un “bravo” o un “pessimo” scrittore. So soltanto che lo sono e continuerò a esserlo.
Ho scritto e – spero – scriverò in molti ambiti diversi: narrativa e poesia soprattutto, ma anche testi teatrali, sceneggiature, fumetti. E poi articoli. Moltissimi articoli, pubblicati nel corso degli anni un po’ dappertutto, dalle riviste cartacee alle testate on line, dai blog ai social.
Ma, tanto per chiarire, non sono propriamente un “giornalista”, appellativo che spesso mi viene attribuito. Non è smania né eccesso di puntiglio, ma semplice onestà: quello del giornalista è un altro mestiere, e non intendo appropriarmi di cose che non mi competono.
Io, semmai, sono stato – e sarò – un “opinionista”. Nel senso che nei miei articoli commento, esprimo un’opinione appunto, su fatti, eventi, situazioni del nostro contemporaneo.
Non do notizie, ma esprimo le mie idee. Non faccio informazione, ma discussione.
Non sono neutrale – nessun opinionista lo è – ma sono onesto. Nel senso che non mi invento fatti e avvenimenti né ne ometto altri, semplicemente li leggo, e li commento, in base al mio particolare sguardo sul mondo.

Detto e chiarito questo, io dello scrivere – sia dello scrivere narrativa sia dello scrivere articoli – ho accettato sempre e comunque tutte le regole del gioco. Un gioco certo molto serio, ma è pur sempre di un gioco che stiamo parlando.
Da quando ho rivendicato la pretesa di essere letto, e soprattutto da quando ho avuto la fortuna di riuscirci, ho accettato l’esposizione che questo comporta, il giudizio continuo, le domande, i chiarimenti, le richieste anche inopportune. Ho provato sulla mia pelle tutte le sfumature possibili del giudizio. I miei libri hanno ricevuto apprezzamenti ed elogi sinceri e importanti, critiche severe e motivate altrettanto sincere e importanti. E hanno ricevuto esaltazioni assurde e spropositate così come stroncature altrettanto inutili e altrettanto assurde. Stesso dicasi, in scala, per i singoli articoli.
Tutto che però rientra completamente, lo ripeto, nelle regole del gioco.

Altro invece no, non rientra in queste regole.
Non ci rientra proprio, e di conseguenza faccio molta, ma molta fatica ad accettarlo.
Non riesco ad accettare, ad esempio, quando qualcuno – scrivendomi in privato o in pubblico – se ne esce fuori, in toni polemici, con frasi tipo: “e allora perché non dici anche che… “, “però di questa cosa qui non scrivi mai…”, “devi scrivere un articolo su…”, “ma perché non scrivi due parole su questo argomento?”.
Oppure, peggio ancora, mi ammonisce: “scrivi solo di quello che ti pare”.

Sì, certo che scrivo solo di quello che mi pare.
La scrittura, se dio vuole, è una scelta, non un dovere.
E io, tra le tante fortune che mi sono capitate nella vita, ho avuto anche quella di poter scegliere.
Ho scelto – tanto tempo fa – di essere uno scrittore “indipendente”, di non legare cioè la scrittura alla mia sopravvivenza, di non essere costretto a scrivere per “portare a casa la pagnotta”. Per risolvere quel problema annoso – la pagnotta, appunto – ho scelto un altro mestiere.
Di conseguenza ho scelto di scrivere in totale libertà e autonomia, quando ne ho voglia, quando sento di scrivere senza pensare agli altri, quando sento che le cose le scrivo soprattutto per me (e un signore di nome Fabrizio De André ricordava come “di solito le canzoni vengono meglio, quando le scrivi per te”). Di scrivere non quando voglio dire qualcosa, ma quando sento di aver qualcosa di dire.

Iniziare a scrivere di qualcosa, qualsiasi cosa, tanto in un poderoso romanzo quanto in un minuscolo articolo, è frutto di una piccola grande folgorazione, che non ha – né può avere – troppe spiegazioni. Come l’amore. Come si fa dire perché ti sei innamorato di quella persona invece che di un’altra?
Se accade un avvenimento epocale e io non ne scrivo (ed è successo, succede e succederà), non vuol certo dire che di quell’avvenimento non me ne interessi. Ma, semplicemente, non so scriverci sopra, non mi vengono le parole. Non è scattata quella folgorazione di cui sopra.

Probabilmente – o forse sicuramente – mi sono spiegato malissimo.
Ma il fatto è che, semplicemente, mi pare pure assurdo averlo dovuto spiegare, aver sentito l’esigenza di scrivere queste quattro righe.
Di sicuro il grande gioco dello scrivere è quasi sempre democratico, e molte regole sono assolutamente identiche e condivise tra le due principali “squadre” in campo, quella degli scrittori e quella dei lettori. Nel senso che pure un lettore può, anzi deve, scegliere cosa leggere e cosa non leggere.
E se tu, lettore, vuoi criticarmi e stroncarmi sei liberissimo di farlo. E io, scrittore, risponderò.
Ma se poi vuoi dirmi pure di cosa devo scrivere, forse è meglio – più per te che per me – che cambi libro, pagina, scrittore.
È davvero meglio che te ne vai e leggi qualcos’altro.

Riccardo Lestini

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