Pestaggi di stato

Cominciamo da un film. Più precisamente dalla sequenza finale di uno splendido film, “Mamma Roma” di Pier Paolo Pasolini, girato nel 1962 con una altrettanto splendida Anna Magnani come protagonista. Nella sequenza in questione Ettore, figlio di Mamma Roma, muore, o meglio viene lasciato morire, di fame, sete e stenti nel letto di contenzione del carcere. Di queste immagini, celeberrime, pluricelebrate e pluricommentate, si ricorda sempre la folgorazione pittorica del Pasolini regista, che nel filmare il corpo deceduto del suo giovane e sfortunato personaggio volle omaggiare il grande Andrea Mantegna, ricostruendo visivamente il meraviglioso “Cristo morto” dell’artista. Molto meno, anzi quasi mai, si rammenta che quel tragico finale fu ispirato a Pasolini da un reale fatto di cronaca romana della metà degli anni cinquanta, appunto dalla morte in carcere per ripetute percosse, fame e sete, di un giovanissimo ragazzo di borgata. Di quella terribile vicenda, ricorda Pasolini, se ne discusse molto in borgata, nei bar e per strada, mentre a livello di informazione ufficiale la notizia fu riportata solo dai giornali locali in trafiletti striminziti. Non ci fu alcuna indagine né alcun provvedimento in proposito e la cosa fu ben presto sepolta nel dimenticatoio.

Di botte, fame e stenti in carcere è morto anche Stefano Cucchi, a soli 31 anni, nell’ottobre del 2009. Ieri si è consumata una nuova “puntata” dell’infinita vicenda giudiziaria a riguardo: la Cassazione ha annullato l’assoluzione dei medici indagati per omicidio colposo disponendo un nuovo processo d’appello. Non solo: pur confermando l’assoluzione per i tre agenti di polizia penitenziaria finora indagati, la Cassazione ha finalmente accertato ufficialmente come Stefano Cucchi sia stato pestato senza “alcun dubbio di natura oggettiva”, elemento che dà un nuovo significato a un altro e decisivo processo, quello nei confronti dei cinque carabinieri ritenuti materialmente responsabili del pestaggio. Belle notizie, senza dubbio. Soprattutto, finalmente notizie “pulite” in una vicenda che dire sporca, assurda e allucinante è dire poco, così pulite da aprire inaspettatamente spiragli di verità e giustizia, così pulite da indurre Ilaria, sorella di Stefano, a dire come “l’aria” sia finalmente “cambiata”.

Ci sono e restano, tuttavia, alcuni “però” di certo non trascurabili, inquietanti e terribili. La foto terrificante che ho qui pubblicata l’avrete già vista chissà quante volte e l’avrete ri-vista aprendo questo post, eppure vi chiedo, prima di leggere le righe che seguono, di guardarla, di fissarla ancora e ancora. Questo spiraglio di luce e speranza verso la verità e la giustizia arriva sei anni dopo i fatti, la foto invece (e con essa altri documenti fotografici parimenti espliciti) fu diffusa immediatamente dopo la morte di Stefano. Adesso ripeto: guardatela, fissatela, e dopo averla guardata e fissata pensate che per sei anni, nonostante questa immagine, è stato ritenuta credibile la versione secondo cui Stefano si sia procurato queste ecchimosi da solo, cadendo dalle scale, senza subire alcuna percossa. Pensate poi che, nonostante questa immagine, il processo di appello (quello che ieri è stato annullato dalla Cassazione) ha di fatto reso ufficiale questa versione assurda e paradossale. Pensate infine che, nonostante questa immagine, il provvedimento di ieri della Cassazione non restituisce né verità né giustizia, ma semplicemente lascia sperare che un giorno, chissà quando, verità e giustizia possano essere restituite. E pensate anche, se non bastasse, che se la giustizia pare attualmente orientata ad accertare le responsabilità dei medici che lasciarono morire Stefano, la storia delle responsabilità di chi ha materialmente compiuto il massacro è ancora tutta da scrivere e tutt’altro che scontata.

Soprattutto la storia di Stefano Cucchi non è per niente isolata né, purtroppo, costituisce una rarità. Al contrario si iscrive tristemente in una lunga lista di nomi e vicende assurdamente simili: Federico Aldrovandi, Riccardo Rasman, Riccardo Mogherini, Aldo Bianzino, Giuseppe Uva, Michele Ferrulli, Dino Budroni, tanto per citare i casi più recenti, noti ed eclatanti. Tutti “pestaggi di Stato”, tutti morti “tra le braccia” di chi lo Stato avrebbe l’onere e l’onore di rappresentarlo. Tutte vicende assurde, paradossali, condite da verità taciute, evidenze negate, silenzi complici e insabbiamenti d’ogni sorta, nonché da continui, ripetuti e subdoli tentativi di screditare il più possibile la vittima presso l’opinione pubblica (come se un tossicodipendente o uno “sbandato” meriti di essere pestato a morte e lasciato morire senza che nessuno si preoccupi di soccorrerlo).
La lista appena ricordata tuttavia, è assolutamente imprecisa e incompleta. Non solo ci sono soltanto i casi più recenti, ma soprattutto ci sono i casi che hanno avuto più risonanza mediatica e più riscontro giudiziario. Più risonanza e più riscontro dettati non certo da una giustizia attenta, ma dalla pressione e dal coraggio dei familiari delle vittime. In sostanza, senza il coraggio di Ilaria la vicenda di Stefano Cucchi sarebbe passata sotto totale silenzio e archiviata come uno degli infiniti “incidenti” della routine carceraria. Lo stesso per Federico Aldrovandi, senza il coraggio di sua madre. E lo stesso per tutti gli altri. Ma non tutti hanno questo coraggio, non tutti hanno nemmeno la forza, la struttura e gli strumenti per opporsi a una certa arroganza di Stato. Di certo non ce l’avevano la famiglia del povero giovane borgataro la cui morte ispirò il finale di “Mamma Roma” a Pasolini.
Allora guardando e riguardando, fissando e rifissando la foto del povero Stefano massacrato, chiediamoci questo: per ogni famiglia coraggiosa (il cui coraggio, bene sottolinearlo, spesso e volentieri non basta a rendere giustizia), quante famiglie impotenti ci sono? Quanti “Ettore”, quanti “ignoti borgatari”, quanti senza nome muoiono vittime dei pestaggi di Stato senza che nessuno ne sappia niente e senza che i colpevoli vengano mai minimamente perseguiti?

Riccardo Lestini

‪#‎resistenzeRiccardoLestini‬

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