Accordi post elettorali

Sulla nascitura Terza Repubblica incombe un rischio inquietante. La possibilità cioè, di essere – almeno per quanto riguarda le modalità di voto, rappresentanza e composizione dell’esecutivo – una sintesi del peggio della Prima e del peggio della Seconda Repubblica.
Se infatti da un lato andremo a votare con la peggior legge elettorale possibile (il famigerato Porcellum, la sintesi più impresentabile delle assurdità della Seconda Repubblica), dall’altro c’è il rischio che si riproponga il grande paradosso della Prima Repubblica. Vale a dire: nel primo quarantennio repubblicano, il sistema proporzionale ‘puro’ a preferenze, con ogni partito che si presentava da solo alle tornate elettorali, in teoria garantiva un sistema di rappresentanza incontestabile e ‘quasi’ perfetto. Non solo il partito guadagnava seggi in proporzione effettiva ai voti ricevuti, ma soprattutto il singolo elettore, votando il singolo partito e non una coalizione, trovava senz’altro una maggiore identità tra il proprio personale credo e il programma proposto. Ma questo, appunto, soltanto in teoria. In pratica, nessun partito poteva essere – da solo – in grado di garantire la formazione di un governo. Conseguentemente erano obbligatori gli accordi post elettorali dove, a scrutinio ultimato, alcuni partiti andavano a sommarsi a suon di compromessi per formare una maggioranza in grado di governare. Con l’inevitabile paradosso secondo cui nessun elettore, nella Prima Repubblica, ha mai potuto vedere il proprio voto espresso tramutarsi in un governo effettivo.
Un paradosso che oggi, con la presenza di cinque (forse sei) schieramenti, si ripropone in maniera assai più che concreta.
Se, stando così le cose, gli accordi post elettorali alle prossime elezioni paiono scontati, la loro entità è variabile a seconda delle percentuali che otterranno le forze in campo. In sostanza: maggiore sarà l’equilibrio tra gli schieramenti, maggiore sarà la portata dell’alleanza ‘a posteriori’. Un’alleanza a posteriori che non solo mette a rischio, da subito, la stabilità del governo, qualunque esso sia, ma che soprattutto rischia di polverizzare i programmi e le proposte votati dagli elettori.
Una Terza Repubblica, in sostanza, già zoppa, incerta e indefinibile prima ancora di prendere forma.

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