Stephen King: il silenzio e il mestiere di scrivere

Gli inserti dei quotidiani riesco a leggerli solo in treno. Altrimenti li abbandono da qualche parte senza nemmeno sfogliarli. Repubblica Donna, del sabato, non fa eccezione.
Per fortuna ero in treno, sabato mattina, e mi sono imbattuto in una bella, torrenziale e appassionata intervista fiume a Stephen King. Questo signore, che è semplicemente lo scrittore più pagato e letto del globo terrestre, occupa un posto strano e particolare nella mia vita. Al punto che ogni volta che leggo di lui, si aprono voragini di riflessioni, più o meno pericolose, più o meno importanti, sulla mia esistenza più intima e profonda.
La mia ‘carriera’ di scrittorino di provincia conta un romanzo, un saggio, una raccolta di testi teatrali e un’imprecisata quantità di poesie e racconti sparsi tra riviste, siti internet e amenità simili. Negli anni, diciamo dal mio esordio in poi (quindi in questi ultimi cinque anni), sulle mie opere sono stati fatti – in sedi ufficiali e non – paragoni importanti e impegnativi, alcuni azzeccati, altri astrusi. Si disse, ad esempio, Kerouac, Tondelli, John Fante. Qualcuno tirò in ballo Ende. Pavese per le poesie, a volte Neruda, Montale addirittura.
In alcuni casi sono stato io direttamente a tirare in ballo scrittori con la ‘esse’ maiuscola, quando mi è stato chiesto di citare due o tre autori particolarmente importanti nella mia ‘formazione’: Rimbaud, Pasolini, Joyce….
E King cosa c’entra? Cosa c’entra questo scrittore di massa, speso associato più alla produzione industriale di libri nazional-popolari che alla letteratura vera e propria? Cosa c’entra con me, intellettuale ‘puro’, che insegue l’Olimpo dei cosiddetti scrittori ‘impegnati’?
C’entra tutto. O quasi tutto. Non so se queste mie due righe deluderanno qualcuno, o molti. Se apriranno una frattura con i miei (pochi) affezionati lettori. Non lo so, ma sinceramente, con tutto il rispetto, me ne importa tutto.
King, oltre a essere il principale responsabile di almeno il 90% del mio immaginario infantile e adolescenziale, è stato il punto di partenza, l’elemento scatenante. Detta ancora più brutalmente: se un imprecisato pomeriggio di fine anni ottanta non mi fossi, per puro caso, imbattuto in un suo libro in edizione economica (era ‘Pet Sematary’), io non avrei mai scritto una sola riga in tuta la mia vita. Non ero, come tanti ragazzini della mia o di altre generazioni, un fanatico del genere ‘horror’. Non consumavo videocassette splatter dalla mattina alla sera. Anzi. Infatti quando poi, dopo King, provai a leggere altri autori horror, Straub, Barker e via dicendo, non mi piacquero. Anzi mi ricordo proprio che mi annoiarono mortalmente. Così come quasi sempre mi annoiavano altri generi molto adolescenziali, come il fantasy e la fantascienza. Non mi piaceva il genere, mi piaceva King. Mi entusiasmava King. Mi emozionava King.
Ci sono almeno due miei amici fraterni ed eterni che possono testimoniare come, nel giro di 4-5 anni, divorai l’intera opera omnia di King. La sua scrittura era (è) semplice e perfetta. Dritta al cuore. Tremendamente vera anche quando (quasi sempre) parla di mostri, eventi sovrannaturali e affini.
Sempre in questi ultimi anni, quando in più di un occasione, per me stesso e per altri, mi sono trovato a ricostruire la mia ‘biografia letteraria’ ho parlato di Rimbaud, Kerouac, Morrison, De André, Pasolini, come miei punti di partenza. E poi di Montale, Carver, Calvino, Pavese, Joyce….come altri altrettanto essenziali nella mia formazione. Tutto vero. O quasi. Perché sono venuti tutti dopo. Dopo King. In principio ci fu King insomma. King e basta. Quando ho iniziato a scrivere (su quei commoventi quaderni ad anelli….Sandro, Samu….ve li ricordate??), era il mio unico e solo punto di riferimento.
Se ho in tutto questo tempo omesso questo particolare fondamentale (di fatto stiamo parlando della vera origine del mio mestiere di scrivere, la fonte di ispirazione primaria e originaria), credo sia stato per un meccanismo inconscio di difesa e imbarazzo. Università, accademie, grande critica, circoli intellettuali e compagnia bella, devono avermi un po’ – con tutto il rispetto .- annacquato il cervello. Citare come mio punto di partenza King, ‘lo scrittore che vende tanto ma vale poco, l’emblema stesso della letteratura ‘commerciale’, mi avrebbe screditato e messo in cattiva luce con la Letteratura-Che-Conta.
Eppure oggi come oggi, mi rendo conto, l’annacquato sono io. Da mesi e mesi mi affanno a scrivere a sprazzi e ritagli di tempo cose più o meno senza senso, che non piacciono a me per primo. Poi capita un sabato mattina in treno di leggere una rivista in cui c’è una splendida intervista al vecchio King.
Subito dopo sono andato a riesumare tra la polvere di vechi scaffali quall’antica edizione di ‘Pet Sematary’ datata 1988, costo undicimila e cinquecento lire. Ne ho riletto alcuni brani e l’ho trovato intatto. Bello, teso, emozionante, fantastico.
Semplice, per di più.
Ai tempi (e ora, che finalmente riesco a comprendere) non mi aveva suggestionato soltanto la straordinaria potenza della sua scrittura, ma anche l’uomo King, le cose che diceva sul suo lavoro e via dicendo.
In sostanza King sosteneva (e sostiene) questo: scrivere è un atto d’amore e sacrificio. Ti siedi alla scrivania, chiappe strette e vai. Scrivi. Perché quando scrivi sei felice. Quando non scrivi sei nella merda.
Tutto qui. E davvero non c’è altro da dire sugli scrittori e sul mestiere di scrivere.
Tutto questo io l’avevo capito, e poi – distrutto da intellettualismi e filosofeggiamenti d’ogni sorta – l’ho scordato. Al punto che oggi, sostanzialmente, non riesco più a scrivere. O almeno non riesco più a farlo come voglio. Con quella semplicità e con quella freschezza.
Per cui, perdonatemi, ma devo salutarvi. Almeno per un po’. Devo spegnere il pc, smetterla di postare brandelli e prove tecniche di scrittura su fb o su altri luoghi simili e non, e ricominciare a scrivere davvero. O almeno provare a farlo.
Devo tornare inchiodato alla mia scrivania, chiappe strette e andare. Con fb e altre pubblicazioni simili, almeno temporaneamente e non so per quanto, chiudo bottega.
Torno a leggere King, alle mie chiappe strette e a me stesso.
Grazie a tutti, a presto,
Riccardo

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