L’arte isterica

L’arte, dalla scrittura alla pittura, dal teatro alla scultura, dalla musica al cinema, è nata per pettinare e sconfiggere i mostri. Come Perseo, che uccide la Medusa senza guardarla negli occhi, ma vedendone l’immagine riflessa sullo scudo e indossando i calzari alati (usando cioè la leggerezza aerea contro la pesantezza della gorgone che uccide pietrificando il mondo), e che poi – una volta uccisa – ne deposita la testa sul fondale marino, di modo che quella stessa testa, a contatto con i frutti marini, possa originare i coralli. Così l’arte, oltre a reinventare nuovi linguaggi e nuovi sentimenti, ha sempre cercato di trasformare i mostri in coralli. Per questo, ad esempio, Fabrizio De André nella “Canzone di Marinella” prende l’orrenda medusa di una prostituta bambina barbaramente stuprata e uccisa, e la trasforma negli splendidi coralli di una dolce e struggente favola d’amore. Per questo, sempre ad esempio, Pier Paolo Pasolini nella scena finale di “Salò”, dalle macerie di torture e orrori indicibili e inconcepibili, fa nascere i coralli di due ragazzetti che danzano sulle note di un dolcissimo valzer.
Per fare questo l’arte ha bisogno di silenzi sovrumani. Poiché è solo negli immani silenzi che nascono i coralli, solo nei silenzi infiniti prendono vita opere meravigliose.
E’ che oggi questo silenzio l’abbiamo perduto. E’ un silenzio che vuole e impone, all’artista, un altro tempo, un tempo diverso da quello della vita, un tempo immane, lunghissimo, eterno.
L’arte oggi è stata catturata e imprigionata dai tempi rapidi e velocissimi, dagli orologi inesorabili delle scadenze e dei mercati, dai timer spietati delle mode. Una prigionia che ha comportato il sequestro definitivo del silenzio, dei calzari alati, dello scudo a specchio e della mappa per raggiungere il mare dove depositare la testa del mostro. Così, da immensa l’arte si è fatta piccolissima, da profonda si è fatta superficiale, da unica si è fatta dozzinale, da eterna si è fatta a consumo immediato.
L’arte si è fatta isterica, esattamente come isterici sono i tempi che viviamo. Ma quell’arte in accordo con i tempi del mondo, l’arte in accordo con la sua stessa società, l’arte in pace con ciò che la circonda, muore, e nemmeno lentamente. L’arte che non rompe, non divide, non distrugge e non riedifica, cessa di essere arte.
Allora forse dovremmo smettere, per un consistente lasso di tempo, di pubblicare libri, di incidere dischi e di organizzare mostre. Smettere di pubblicare e pensare solo a scrivere, smettere di incidere e pensare solo a suonare, smetterla con le mostre e pensare solo a dipingere. Dovremmo cioè sfuggire a questi isterismi che ci vogliono prigionieri e riprenderci quel silenzio disumano dove nascono opere grandiose, riprenderci quel silenzio e tornare nella grotta, la dimora naturale dell’arte, dove appunto in silenzio invisibili sciamani sussurrano i segreti eterni della prodigiosa nascita dei coralli.