Vent’anni

Sì perché il tempo scivola e fugge via e lascia tracce labili come orme di scarpe leggere nel fango. Il tempo passa e si dimentica e restano echi nella notte, voci di sirene, candele, sapori, fantasie di albe mai viste. Il tempo si frantuma e si cancella ma ritorna nelle notti di settembre quando l’estate che se ne va non ti lascia stare e le due di notte sono un’opportunità che non ti riguarda e le piazze piene di gente che non conosci più lo specchio rotto della tua solitudine. Il tempo si spezza e lascia gusto amaro ma erompe d’improvviso e tutto insieme nel caos inquietante del rumore dei tuoi passi che ti riportano a casa e non vorrebbero. Il tempo ritorna di colpo e e si mescola in trame che non sai legare assieme. Vent’anni e gli anni novanta nient’altro se non il tempo che m’era toccato in sorte. Vent’anni. I gettoni del telefono a poco a poco sparivano perché c’erano le schede e le duecento lire, ma eravamo sempre lì in fila alle cabine per le telefonate che nessuno avrebbe dovuto sentire mai. E poi quel novembre non faceva freddo e ti ricordi amico mio quando ti piombai alle spalle ed ero disperato e felicissimo e ti dissi quella cosa e tu lanciasti il cucchiaino del caffè oltre gli alberi e il juke box del chiosco e non so ancora se per rabbia o per liberazione? Ed eravamo noi tre e le rive del Trasimeno da percorrere come eroi noncuranti del vento gelido che ci soffiava tra i capelli. Ci scrissi una poesia su quelle passeggiate e tutto era poesia a vent’anni e i miei quaderni a spirale scoppiavano di parole e disordine. E mi sentivo davvero un poeta quando al lago si sciolse la neve e arrivò di schianto il carnevale e inseguii tutto il giorno la ragazza vestita da demone e col cuore di rondine, la ragazza che due sere dopo mi raggiunse agli scogli e mi baciò e si spogliò nella notte tra una canzone dei Doors e una poesia di Rimbaud, ed era pelle giovane e occhi sognanti e innamorati, era la giovinezza e un volo garbato come d’aeroplano silenzioso. Ma io vent’anni avevo già mille case ed ero pazzo d’ogni goccia d’esistenza e sapevo già rimpiangere e sperare e Letizia era una donna e io un ragazzo e non seppi capirla quando mi prese per mano e portandomi via dalle barricate e dai lacrimogeni mi parlò del mare e del futuro. Vent’anni e Firenze ancora quasi postmoderna come un romanzo di Tondelli e io leggevo Tondelli mescolato ai fumetti di Pazienza e i film di Pasolini uno dietro l’altro e mi riguardava tutto ciò che avesse un respiro. E la ragazza spagnola profumava di Andalusia e aveva seni immensi e vestiti bianchi e fiori nei capelli e sandali di cuoio e mi prendeva tirandomi a sé animalesca e non pensavo a nulla dentro di lei e galleggiavo nei miei sogni smisurati di futuro e gloria e poesia. Vent’anni e le notti di canne e birra e non arrivava mai l’alba perché niente poteva avere una fine e a volte la ragazza del Mugello dai fianchi enormi mi aspettava sull’uscio di casa sua e si faceva prendere nel suo letto rasoterra come un talamo orientale e urlava e spalancava le finestre per mescolare i suoi orgasmi ai rumori della strada e alle grida di Firenze. Ma Bice capelli rossi e occhi azzurri seppe cambiare la mia vita, Bice che faceva l’amore come nessun’altra, Bice i triangoli di Santa Trinita e la Y10 rossa dai vetri appannati e la via degli innamorati a Pienza e le poesie di Neruda e il romanzo di Fitzgerald e il violinista degli Uffizi e il natale più bello della mia vita e Bologna sul nuovo millennio e che bello Bice a teatro in prima fila con gli occhi lucidi e commossi come solo lei sapeva avere. Il tempo svanisce e i ricordi ti assalgono di notte come furie disperate e non ti danno tregua né pace e non hanno logica in questa danza d’immagini che solo ti ricorda che sì, hai avuto una vita e qualcosa di più, ma non ti lasciano la chiave per capirne il senso segreto o almeno intuirne i sentieri. Vent’anni, forse venticinque ma sempre vent’anni e Lisa che è stata migliore in gonna biancoblu e in testa una fascia contadina per legare capelli e pensieri, Lisa dolcezza e film da guardare abbracciati, Lisa e un sorriso come tutto l’universo. Lisa chissà. Dio mio quei giorni non esistevano più i giorni e le ore ma solo la mia penna che correva impazzita ed eravamo dieci pazzi che volevano fare la rivoluzione sopra un palcoscenico. E poi la notte che rubammo le poltrone del cinema Gambrinus e i tubi dei mercati generali e costruimmo il Teatro Popolare e macinavamo spettacoli come chilometri a duecento all’ora ed eravamo una stramba comune ambulante che divideva case e amori e camerini di mezzo mondo. Vent’anni, venticinque forse ma sempre vent’anni, la rivoluzione e Seattle e un altro mondo è possibile e le tute bianche e Goteborg e Napoli e quel giorno osceno di luglio quando ci strapparono i vent’anni dal cuore e scoprimmo la morte, quel giorno acre di luglio quando Genova ci svelò la sconfitta e tutti morimmo in Piazza Alimonda. Elena chissà se quel giorno di luglio fossi riuscito a chiamarti e a dirti ho paura di morire, chissà se t’avessi davvero chiesto di sposarmi mentre i manganelli mi spezzavano la schiena, chissà se quel giorno di luglio tu non fossi stata così lontana, chissà se un anno dopo t’avessi seguito e tu non avessi avuto già un figlio da crescere. Chissà la mia vita senza te e con te e senza Genova e quel giorno di luglio. Oh vent’anni e i miei giorni sconclusionati e senza direzione, i miei giorni su e giù dagli autobus e Firenze mia e solo mia e di niente avevo bisogno se non d’un quaderno dove scrivere poesie e amori a milioni e la mia dolce ballerina coi riccioli a milioni che scoprii d’amare troppo tardi e la femme fatale capelli neri e labbra infinite e Diletta sognante e pelle del colore della luna. E poi vidi l’oceano e poi vidi l’Irlanda e poi baciai Dublino e fui felice e disperato e corsi nudo sotto il tetto dell’Avalon House e la figlia del pirata che suonava il sax e i seni di Virginia morbidi come tramonti e non sarei più tornato se una smania violenta non m’avesse svegliato all’alba d’un sogno ubriaco. E quella notte d’estate che Ghita si fece avanti tra la vodka e le tarantelle ed era solo poesia e sogno e finalmente una vita futura. E Ghita aveva occhi azzurri e gambe infinite e aveva le chiavi del mio cuore come nessuno le avrebbe avute mai e perché e per come si sono allentate le strette che credevo eterne dei sentieri delle nostre mani. Il tempo muore e non ritorna e ti prende alle spalle quando meno te lo aspetti. Oh sera di settembre in cui tutto ritorna e non lascia scampo, cosa furono i miei vent’anni? Mi addormento all’alba senza una casa e senza un perché e solo ripenso a una sera di dicembre quand’ero in un posto assurdo circondato da sconosciuti e guardai l’orologio e di colpo capii d’avere trent’anni e di colpo diedi addio ai miei vent’anni anche se ancora cercavo una casa. Mi addormento all’alba senza un perché e con trentacinque anni addosso e ancora cerco una casa. Ma, alba di settembre e fine estate, cosa furono i miei vent’anni?

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