… e sono quarantuno…

Rieccomi qua, Riccardo, nel giorno del mio quarantunesimo compleanno.
L’altro ieri, in una stazioncina minuscola, aspettavo un treno che proprio non voleva saperne di arrivare.
Così, per uccidere la noia di quel ritardo, mi sono beatamente infognato nell’ultimo infernale giochino ideato da Facebook: una serie di domande, più o meno personali, più o meno sensate, più o meno idiote, a cui rispondere per rendere più ricco e completo di informazioni il tuo profilo.
Così, tra le altre cose, ho scritto e pubblicato che il film che più di ogni altro mi ha terrorizzato è “La casa della finestra che ridono” di Pupi Avati, che a mio avviso la miglior terapia per ogni male interiore è il silenzio, che la citazione in cui più mi riconosco è tratta da “Amico fragile” di De André, che non voglio dire quale desiderio esprimerei se avessi a portata di mano il genio della lampada, che se potessi tornare indietro nel tempo sceglierei di partecipare alla presa della Bastiglia, che la persona a cui affiderei la mia vita è sempre e comunque me stesso, che la prima cosa che penso quando entro in un negozio è come andarmene il prima possibile, che la mia pizza preferita è la Margherita, rigorosamente fatta a sud di Roma, che mi piacerebbe molto leggere nella mente delle persone. Che se vincessi la lotteria produrrei subito uno spettacolo con Elio Germano e Bobo Rondelli, che tra città e campagna scelgo la città, che non amo i supereroi, che la mia più grande fonte di ispirazione è la vita e che, se potessi scegliere, anche solo per un giorno, mi reincarnerei in Napoleone Bonaparte, che in assoluto la cosa più scema che ho fatto per mancanza di sonno è stata di mettere nel caffè il cous cous al posto dello zucchero di canna.
Il problema è che il treno alla fine è arrivato e io ho dovuto smettere.
Sarà stata la vicinanza del compleanno, sarà stato che, da ossessivo compulsivo “morettiano”, amo spasmodicamente compilare elenchi, stilare classifiche e curiosità su me stesso.
Fatto sta che quel giochino mi piaceva. Mi piaceva di brutto. Lo confesso, avrei continuato per ore e avrei voluto rispondere ad altre cento domande. Ad esempio avrei voluto dire che la notte, quando non riesco ad addormentarmi, per prendere sonno snocciolo le formazioni dell’Inter e della nazionale, che preferisco le albe ai tramonti, che quando una casa editrice decide di non pubblicarmi non mi rattristo ma m’incazzo, e che quando invece decide di pubblicarmi, almeno lì per lì, non gioisco ma mi rattristo. Che poche cose mi mettono addosso malinconia come la canzone “Moonlight Shadow”, che niente mi fa schifo e orrore come i ratti, che impazzisco per quella grazia speciale che hanno le donne nel prendere dalla borsa una bottiglietta d’acqua, svitare il tappo e bere un sorso, che impazzisco ancora di più per i capelli delle donne intrecciate alle matite colorate. Che ho in testa un repertorio di canzoni imbarazzanti che mi commuovono, che secondo me Dirty Dancing è un capolavoro, che i miei più grandi miti di adolescenza, ovvero Jim Morrison e Dylan Dog, sono ancora intatti. Che non riesco a fare a meno del festival di Sanremo, che quando fuori piove forte amo ascoltare la classica di RadioTre leggendo i passi che più mi esaltano di Guerra e Pace. Che niente mi dà pace come camminare, che alla fine, al di là dei classici immortali, se dovessi scegliere un solo libro da rileggere tutta la vita, sarei indeciso tra Porci con le ali e il fumetto Pompeo di Pazienza. Che non sopporto salutare, che vorrei che le persone se ne andassero così, senza dire niente, che i ci vediamo presto e gli arrivederci mi mettono ansia, che telefonare mi stressa come poco altro al mondo, che sono ossessionato dall’incasellare i ricordi in date ed elenchi, che il mio più grande rimpianto è non saper suonare la chitarra. Che ho quattro sole certezze nella vita e le custodisco come un tesoro, che niente è come la mortadella accompagnata da olive e vino rosso, che il posto più bello del mondo è la loggia dei Lanzi, a Firenze, dopo mezzanotte. Che mi destabilizzano i cambi di programma ma alla fine mi esaltano le improvvisazioni, che sono molto più cerebrale di quanto chiunque possa pensare, che non riesco psicologicamente ad accettare l’esistenza delle pantofole e dei pigiami.
Ma soprattutto che se dovessi scegliere un’età da vivere in eterno sceglierei quella che ho adesso, e che dieci anni fa avrei detto lo stesso e probabilmente dirò lo stesso tra altri dieci anni.
Perché, al di là delle tragedie reali e trascurabili e al di là delle gioie altrettanto reali e altrettanto trascurabili, tutto questo è proprio una splendida avventura.
La vita, intendo.
Buone feste a tutti,
Riccardo

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