Fare politica

Per fare politica occorrono specifiche capacità e ancora più specifiche competenze. In particolare occorre lungimiranza, quella lungimiranza coraggiosa e in parte visionaria che permette di leggere il presente e al tempo stesso intercettare il futuro, così da mettere in campo progetti che più che al presente e al domani prossimo sappiano guardare al più lontano dei futuri.
Quella lungimiranza che rende politici e statisti degni di questo nome.
Ora non è per saccenza né per presunzione, ma per spietato realismo che dico che l’attuale classe politica (e non parlo di partiti o schieramenti, parlo proprio di generazione politica) è lontana anni luce da questi requisiti, totalmente incapace anche solo di pensarlo, il futuro. O, più semplicemente, totalmente incapace nell’esercizio delle proprie funzioni, che nella migliore delle ipotesi ci condanna alla sua incompetenza, nella peggiore ci conduce alla distruzione.

Qualcuno (probabilmente molti più di qualcuno) a questo punto mi dirà “e allora, se sei tanto bravo a criticare, provaci tu!”.
Ecco, sono proprio pensieri come questo, del tipo “e allora provaci tu”, a generare e legittimare questa situazione. È la logica del “posso farlo anche io” a svilire sistematicamente le specificità del singolo e a creare la miseria della classe che ci rappresenta.
Io no, non posso provarci. Sono un cittadino nel pieno esercizio dei propri diritti, leggo e analizzo la realtà ma, pur sapendola giudicare, non vuol dire che io abbia le capacità per farla (anche secondo me l’Italia aveva bisogno del doppio regista, ma non per questo che in panchina ci sia io o Mancini è lo stesso).

Il nostro compito, la nostra sfida, non è mandare a casa gli attuali politici al grido pseudo giacobino “ora ci pensiamo noi”, ma creare i presupposti per un humus sociale che sappia ridare valore alle competenze.
E scegliere in base a quelle.

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