Esserci o non esserci (ovvero: il Salone del Libro ai tempi dei fascisti del terzo millennio)

Alla fine andrò al Salone del Libro. Ho scelto e deciso di andare, sciogliendo il dubbio amletico a favore dell’esserci.
Perché l’Aventino – qualsiasi Aventino – mi spaventa, perché tutte le volte che sdegno e indignazione, pur se sacrosanti, ci hanno portato a sbattere la porta e ad abbandonare il campo, abbiamo finito per lasciare fascismo e fascismi liberi di agire indisturbati, senza più argini né barriere.
Perché mostruosità editoriali come Alta Forte, veicoli di idee abominevoli e vergognose, sono ormai da anni presenze fisse, al Salone come in altre fiere, a testimoniare uno sdoganamento sempre più preoccupante ma a cui, purtroppo, troppo spesso abbiamo assistito in silenzio, e adesso che lo sdoganamento si trasforma in piena e pericolosissima legittimazione sotto l’ala protettiva del ministro degli interni, non possiamo proprio andarcene, perché dopo tanto silenzio abbiamo il dovere di far sentire finalmente la nostra voce. E farla sentire lì, proprio lì e non altrove, a testa alta e senza paura, in faccia ai tifosi dell’orrore, quegli stessi tifosi che non chiedono altro che la nostra uscita di scena.
Perché il Salone, così come ogni altra “casa” della cultura, del sapere, di quella libera circolazione di idee che i libri rappresentano, è casa nostra, di noi che da sempre pensiamo come sapere, cultura e intelligenza siano i fondamenti di una società libera e giusta. E non possiamo lasciarla a chi si fa vanto di dare i libri alle fiamme, calpestare il sapere, promuovere l’ignoranza.
Perché il Salone è come una piazza e penso che come una piazza vada tenuta, occupata, presidiata e rivendicata.

Certo non è stata una scelta semplice né una decisione presa a cuor leggero, ma al termine di mille arrovellamenti. Perché la questione è seria – molto più seria di quanto si pensi – importante, complicata. E inevitabilmente divisiva.
Impossibile pretendere che noi addetti ai lavori (scrittori, editori… ) – almeno noi addetti ai lavori che riconosciamo e ci riconosciamo nell’antifascismo in quanto azione militante – si potesse arrivare a una posizione comune. Ovvio che ognuno di noi, al termine degli arrovellamenti di cui sopra, abbia deciso secondo la propria coscienza e in piena autonomia, quella stessa autonomia e quella libertà di pensiero che abbiamo la pretesa, attraverso i nostri libri, di promuovere e diffondere ogni giorno. Ho elencato prima le ragioni del mio andare, ma questo non vuol dire che le ritenga più o meno valide di quelle di chi ha deciso di boicottare il Salone. Al contrario, la questione è talmente delicata che le motivazioni con cui Zero Calcare o il collettivo Wu Ming (tanto per fare due nomi illustri) hanno spiegato la loro assenza, sono totalmente comprensibili e condivisibili.
L’importante è che tali divisioni, tra l’esserci e il non esserci, l’andare e il non andare, non si risolva in una guerra di hastag #iovadoatorino versus #iononvadoatorino o in qualunque altro scontro “interno”, che sarebbe, oltre che autolesionista, totalmente assurdo.
Perché ben più importante del “vado/non vado” resta il “che fare”: che fare per contrastare questa nuova estrema destra, questa continua recrudescenza fascista, maschilista, oscurantista, guerrafondaia e sovranista, razzista e violenta, sempre più assurdamente legittimata dal silenzio e dall’assenso – nemmeno velato, ma sfacciatamente esplicito – della sponda leghista del governo; che fare per impedire la sparizione e la colonizzazione degli spazi di libertà e libero pensiero; che fare per continuare a far sentire – e far arrivare – la nostra voce e la nostra denuncia.
E sul fare, sul manifestare, sul non renderci complici – con silenzio e indifferenza – di questa marea ignobile, nelle maniere e nelle modalità più svariate, dobbiamo esserci tutti, fuori o dentro Torino, presenziando o boicottando, presentando o abbandonando.
Possibilmente anche dopo la fine del Salone, anche e soprattutto dopo il 13 maggio.
Perché l’antifascismo o è militante o non è antifascismo.
E la militanza non può conoscere scadenze o calendari. La militanza è ieri, oggi e domani.
Sempre.

Riccardo Lestini

12 maggio al Salone del Libro di Torino
Padiglione 2 – Stand L21 – k26
ore 17
ora e sempre R-esistenza

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