Il ritorno dell’eroina

In realtà non se n’è mai andata. Di sicuro per un certo periodo – più o meno dalla metà degli anni ’90 –, complici una massiccia campagna di informazione, una discriminazione sociale pressoché assoluta e l’incubo dell’AIDS (nonché, forse soprattutto, l’immissione sulla piazza di nuove droghe, ugualmente a buon mercato ma socialmente meno infamanti), si è registrato un calo costante nel consumo e nel numero di vittime. In buona sostanza, all’inizio del nuovo millennio a bucarsi erano rimasti quasi esclusivamente i tossici “storici” e dall’ecatombe degli anni ’80-’90 i morti per overdose erano scesi sotto il livello di guardia. Il regime talebano prima e la guerra afgana poi, complicando in misura consistente i traffici nella principale via mondiale dell’oppio, sono stati infine ulteriori concause della drastica diminuzione della presenza di eroina sulle piazze.
Tutto questo però, nonostante il fenomeno non avesse più i numeri apocalittici dell’allarme e dell’emergenza sociale dei decenni precedenti, non ha portato certo all’eliminazione del problema. Che, se pur in maniera minore, continuava a esistere. E a seminare morte.
Abbassare la guardia, cessare le campagne informative in proposito, considerare la questione come un brutto ricordo del passato, sottovalutare il pericolo di un suo ritorno su larga scala, se non addirittura negarne la persistenza, sono stati errori colossali e spaventosi (anche se il termine “errore” non fotografa per niente la portata gigantesca della cosa).
Perché oggi l’eroina è tornata a invadere le strade in maniera poderosa e capillare. E non sono più soltanto i tossici storici a farne uso (e in maniera molto amara occorrerebbe chiedersi: se sul loro continuare a morire in tutti questi anni è stata fatta calare una spessa coltre di silenzio, significa che è stato decretato che questa fetta di umanità emarginata meritasse di essere abbandonata a sé stessa?), ma anche, e soprattutto, le nuove generazioni. Giovani e giovanissimi. Sedicenni, quindicenni. A volte anche più piccoli. Tutti ragazzini che, causa lo stop assoluto all’informazione in merito, sono totalmente a digiuno di informazioni e di conseguenza particolarmente deboli.
Inquieta che questo tragico ritorno non sia storia di questi giorni. Da almeno tre anni si registra un costante incremento nell’uso di eroina e, manco a dirlo, nelle morti per overdose.
Nel 2017, in Italia, le morti per overdose sono state 148, vale a dire il 9,7% in più dell’anno precedente. Nell’anno ancora in corso, a fine settembre, la tragica statistica contava già 139 vittime, in gran parte sotto i vent’anni.
Inquieta perché non se ne parla, non se ne parla affatto. Se il non parlarne negli anni del calo è stato un errore, questo nuovo silenzio è assolutamente incomprensibile e sconcertante. La sensazione è quella di avere a che fare con una nuova “strage silenziosa”, proprio come alla fine degli anni ’70, alle origini dell’ecatombe, quando le dimensioni del problema furono drammaticamente sottovalutate. Ma in quel caso a farla da padroni furono la novità del fenomeno, la conoscenza pari a zero dei rischi, l’assenza totale di informazioni concrete in merito.
Oggi purtroppo non è una novità, conosciamo perfettamente la questione e sappiamo come la diffusione capillare dell’eroina possa polverizzare intere generazioni. Eppure regna lo stesso il silenzio. Come se, al pari dei vestiti, anche l’attenzione per le questioni sociali segua la moda e il trend del momento. Lo cantava già Enzo Jannacci in “Se me lo dicevi prima”: “perché iniettarsi morte/ è ormai anche fuori moda”. Ed era il 1989. Figuriamoci oggi.

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