Il concetto di Italia

La tradizione vuole che il cancelliere austriaco Metternich, grande regista della Restaurazione – ovvero quel processo di ridefinizione e conservazione dei confini geopolitici europei di antico regime seguita al crollo dell’Impero napoleonico -, nel1847 abbia liquidato le rivendicazioni unitarie dei patrioti italiani definendo l’Italia una pura “espressione geografica”, cioè completamente priva di quel valore politico che gli stessi patrioti, dai tempi di Napoleone appunto, cercavano di imprimergli.

Nonostante i più recenti studi in materia tendano a ridimensionare la frase di Metternich – che pure egli scrisse – attenuandone il significato sprezzante e presentandola come semplice constatazione di uno stato di fatto (l’Italia era, effettivamente, un insieme di Stati sovrani reciprocamente indipendenti), per di più dettata da un interessato calcolo politico (su quegli stessi Stati l’Austria esercitava una strettissima influenza, diretta e indiretta), è comunque indicativa di un problema effettivamente esistente, fino in tempi recentissimi, di definizione, sia geografica sia, soprattutto, politica, dell’Italia.

Facili dietrologie e ardori patriottici a parte, è infatti indubbio che l’Italia, intesa come Stato unitario e come entità politica, sia una realtà assolutamente recente e abbia una storia altrettanto recente e brevissima, appena poco più di centocinquanta anni. Addirittura più breve, per intenderci, degli Stati Uniti d’America.

Eppure, la parola “Italia”, usata per identificare non solo una regione geografica ma anche una precisa area culturale, è antichissima e affonda le sue origini ben oltre la notte dei tempi.

Quindi che cos’è l’Italia? Dove e quando nasce il concetto stesso di Italia dentro cui si racchiude una cultura, una tradizione, un popolo?

Proviamo in questa sede, nei limiti del possibile, a rispondere ripercorrendo le tappe principali di questo concetto nel corso dei secoli, in una storia tutt’altro che lineare e aliena da strappi e contraddizioni.

Il nome “Italia” è utilizzato almeno dal V secolo a.c., quando in varie fonti greci ne troviamo le prime menzioni scritte, a testimonianza di un uso già consueto e diffuso.

Antioco di Siracusa fa risalire l’origine del nome Italia a un certo principe Italo, il quale dopo aver sottomesso e unificato il territorio compreso tra lo stretto di Messina e i golfi di Squillace e Sant’Eufemia (cioè la punta estrema della Calabria), avrebbe ribattezzato col suo nome la regione.

Si tratta ovviamente di una semplice leggenda (ad ogni modo ripresa e diffusa da molte voci illustri, in primis quella di Aristotele, che un secolo dopo Antioco la riporta nella “Politica”), che però circoscrive in maniera molto precisa l’estensione geografica della regione allora indicata come Italia.

Ellanico, sempre nel V secolo a.c., racconta un’altra leggenda, secondo cui Eracle, traversando l’Italia per ricondurre in Grecia il gregge rubato a Gerione, durante la ricerca di un capo di bestiame fuggito, dopo aver saputo che secondo l’idioma locale la bestia aveva nome “vitulus”, avrebbe deciso di ribattezzare l’intera regione “vitalian”. Se da un lato è interessante vedere come la regione in questione sia la stessa di quella menzionata da Antioco (ovvero la punta estrema della Calabria), dall’altro è ancora più interessante la strada dell’origine del nome che tale mito suggerisce. Sembra infatti più che probabile come la forma “Italia” si spieghi con la caduta della “V” iniziale nella pronuncia delle genti della Magna Grecia. E che derivi effettivamente dall’osco “viteliu” (poi traslato nel greco “vitalian-italia” e infine accolto nel latino), a indicare come il territorio fosse ricco di bovini (il toro era per l’appunto l’effigie delle antiche monete osche, con l’epigrafe “viteliu”, mentre secoli dopo, Varrone e Timeo si riconnettono a questa strada scrivendo: “quoniam boves Graeca vetere lingua italoi vocitati sunt, quorum in Italia magna copia fuerit”, ovvero “poiché anticamente in lingua greca i bovini erano chiamati “italoi”, dei quali in Italia vi era grande abbondanza”).

La probabile origine osca del nome e della regione di appartenenza pare confermata dal successivo allargamento geografico del concetto, che va a coincidere in maniera assai precisa con l’espansione degli Osci nel sud Italia. Già Erodoto, nelle “Storie”, colloca in Italia la città di Taranto, mentre nel IV secolo per “Italia” si intende l’intero mezzogiorno continentale, fino a sud di Paestum sulla costa tirrenica.

Ma l’allargamento più consistente, e determinante per la storia futura, si ebbe ovviamente con la dominazione romana, a partire dal III secolo. Già nei primi decenni del secolo, quando di fatto l’intera penisola fu amministrativamente unificata sotto il governo repubblicano di Roma, e i molti popoli che l’abitavano (Latini, Sabelli, Etruschi, Apuli e Greci in particolare) si ritrovarono tutti a combattere sotto le insegne romane con il comune nome di “togati” (vale a dire “uomini della toga”, l’abito più usato dai cittadini di Roma), il nome Italia finì per indicare l’intero territorio compreso tra i fiumi Arno ed Esino a nord e lo stretto di Messina a sud.

Tuttavia, all’unità politica del territorio non corrispondeva affatto unità culturale né, soprattutto, un comune sentimento di appartenenza. Al contrario, la maggioranza dei popoli italici sottomessi continuava a coltivare il sogno di sottrarsi al dominio romano e riacquistare indipendenza. A questo proposito, quanto accadde nella seconda guerra punica è molto più che emblematico. Quegli stessi popoli infatti, sfruttando lo sbandamento dell’esercito e del governo romano colti di sorpresa dalla spettacolare e celeberrima calata nella penisola delle truppe cartaginesi guidate da Annibale, non esitarono a ribellarsi a Roma e ad appoggiare Cartagine (paradosso assai grottesco dell’inno di Mameli: per testimoniare l’antica unità del popolo italiano si va a citare la seconda guerra punica, ovvero uno dei momenti di massima divisione della penisola).

Le basi per l’effettiva unificazione del territorio furono poste soltanto dopo la definitiva vittoria di Roma su Cartagine, a guerra finita. A un prezzo altissimo: per vendicarsi dei popoli ribelli, il governo di Roma ordinò la distruzione di molte città del sud, mentre, sia al nord che al sud, intere comunità furono sradicate a forza dal loro territorio e deportate altrove. Infine, per completare l’opera di romanizzazione e omogeneizzazione della penisola, furono promossi e incentivati numerosi matrimoni misti tra aristocratici italici e aristocrazie romane.

Se i confini politici, e quindi ufficiali, dell’Italia (stretto di Messina e fiumi Arno ed Esino) rimasero invariati ancora a lungo, dopo la seconda guerra punica, l’espansione di Roma a nord e la relativa conquista del territorio padano e veneto, per Italia di fatto si iniziò a intendere tutto il territorio compreso tra le Alpi e i mari Tirreno e Adriatico. Un uso “allargato” del nome di cui si trova testimonianza sia in fonti greche (Polibio) sia in fonti latine (Catone).

Ancora nel I secolo, al tempo di Giulio Cesare, col confine politico spostato leggermente a nord sul fiume Rubicone, l’intero attuale settentrione, pur come ricordato già chiamato Italia, non rientrava ufficialmente nella provincia italica. In sostanza, gli abitanti a nord del Rubicone non godevano della cittadinanza romana e di tutti i privilegi che essa comportava.

Fu solo con l’avvento dell’Impero, e con la riforma amministrativa voluta da Ottaviano Augusto, che il settentrione venne incluso ufficialmente nella provincia italica, facendo coincidere i confini politici e geografici all’incirca con quelli attuali, fatta eccezione per le isole maggiori (Sicilia, Sardegna e Corsica), che vennero annesse all’Italia solo dalla riforma dell’Imperatore Diocleziano, alla fine del III secolo dopo Cristo.

Ad ogni modo, nonostante questa sostanziale identità dei confini, è completamente priva di fondamento storico quell’idea, assai dura a morire, che vorrebbe vedere nell’Italia romana la base e l’origine dell’attuale stato unitario. Una forzatura, una suggestione e nient’altro, dettata spesso e volentieri, più che da errate valutazioni storiche, da vizi ideologici e interessate manie di grandezza.

Una lettura completamente errata, non fosse altro per l’impossibilità di applicare il moderno concetto di stato-nazione alla storia antica, concetto all’epoca completamente sconosciuto e inesistente.

Per quanto nel corso del tempo identificata da una certa unità culturale e per quanto a lungo centro nevralgico dello sterminato Impero, l’Italia romana non fu mai uno stato autonomo e sovrano. Soprattutto le sue genti non risposero mai a un’idea nazionale di “italianità”, ma piuttosto a un’idea generale di “romanità” estesa ben oltre i confini della penisola.

Per trovare un’origine plausibile del concetto di Italia come stato-nazione e come identità nazionale, occorre quindi cercare non nella storia dell’Impero Romano, ma nella storia che prende avvio dalla sua dissoluzione, ovvero quella medievale, quando proprio lo sconquasso e la frammentazione che seguirono al suo crollo generarono gli embrioni dei futuri e moderni stati nazionali.

Impresa tutt’altro che semplice. Se l’Impero Romano aveva unificato sotto le sue insegne e in un unico sistema governativo una porzione sterminata di territorio per un lasso di tempo immenso, il lungo medioevo si caratterizza per stravolgimenti e ridefinizioni geopolitiche continui, dove anche i confini dei poteri più duraturi e universali (il Papato e l’Impero) furono soggetti a mutamenti incessanti. Mutamenti e instabilità che interessarono proprio l’Italia più di ogni altra area europea e mediterranea.

È perciò praticamente impossibile, specie in uno spazio come questo, riuscire a ripercorrere tutte le tappe di un processo così complesso e intricato, spesso addirittura oscuro.

Volendo però provare a sintetizzare e schematizzare, per capire l’evoluzione del concetto di Italia attraverso i secoli occorre precisare come, a partire dal medioevo, esso vada inteso in un duplice significato: 1) un effettivo Stato autonomo e unitario; 2) l’ideale politico di unità nazionale; 3) l’idea generale di Italia derivata dall’Impero Romano, ovvero una regione con una certa identità culturale che non corrisponde necessariamente a quella politica e amministrativa.

Fermo restando che quanto detto al punto 1) si realizza esclusivamente, e tra l’altro in maniera incompiuta, soltanto nel 1861, in linea sempre estremamente generale e sintetica possiamo dire che, mentre il significato del punto 2) conosce continuamente alti e bassi, periodi di grande fervore e di assoluto silenzio, dettati dal continuo mutare degli scenari storici e delle ideologie, quello del punto 3), nella sua sostanza, non è mai messo in discussione.

Anche durante l’Alto medioevo (quella lunga, lunghissima età che si estende dal crollo dell’Impero Romano all’età dei comuni, ovvero oltre cinque secoli), in assoluto il periodo più oscuro e tormentato, il nome “Italia” usato per identificare – geograficamente e culturalmente – la penisola resiste a ogni scossone. Ai Goti, primi dominatori dell’Italia in epoca post-romana, non solo non riuscì di ribattezzare “Gothia” la penisola, ma dovettero rassegnarsi a utilizzare il termine “Italia” anche per definire politicamente il regno appena conquistato. Una definizione politica, quella di “regnum Italiae”, che sopravvisse anche dopo la cacciata dei Goti, sia in epoca longobarda che in età carolingia. Ma in nessuno dei due casi tale significato “politico”, provenendo dai dominatori stranieri, può essere associato a un qualche ideale di unità nazionale.

Sotto i longobardi il termine “regnum Italiae” viene usato per indicare esclusivamente il mezzogiorno della penisola, ovvero quel territorio posto sotto il dominio dell’Impero bizantino. Una dicitura che stava a significare “quei territori non longobardi, ancora in Italia”, ovvero che la collocazione politica naturale dell’Italia fosse quella di regione dell’Impero. Contemporaneamente, il nord e gli altri territori sottoposti al dominio longobardo, nei documenti venivano indicati indistintamente come “Italia” o come “Longobardia”.

Ma affinché il concetto di Italia diventi effettivamente un’idea non solo geografica e nazionale, ma anche politica, di unità nazionale, e affinché di conseguenza si possa dire realmente avviato un processo di coscienza nazionale degli italiani, occorre attendere il tardo medioevo.

È in Dante Alighieri che possiamo e dobbiamo riconoscere il vero “padre della patria”: oltre a delimitare in forma definitiva i confini geografici della penisola, il sommo poeta, per primo, riconobbe solennemente l’unità linguistica, storica e culturale dei suoi abitanti, ovvero l’unità nazionale. Attraverso la sua opera letteraria e politica, Dante non riconobbe tanto tale unità sulla base di un pregresso storico, quanto pose le vere e proprie basi affinché essa si realizzasse compiutamente nei secoli a venire. Sono perciò gli scritti danteschi – in particolare il “De Vulgari Eloquentia”, il “De Monarchia” e, ovviamente e soprattutto, l’immensa “Commedia” – il vero atto fondativo del concetto di Italia, dell’italianità e della coscienza di nazione.

Un concetto così definito e potente da non essere più messo in discussione, anche quando i continui domini stranieri sopirono e seppellirono qualsiasi aspirazione alla concreta realizzazione di tale unità.

L’idea di unità nazionale e la coscienza di nazione erano ad esempio chiarissime nel ‘400, quando la Signoria fiorentina, nella persona di Lorenzo il Magnifico, si fece garante non solo del mantenimento della pace di Lodi (una sorta di accordo per il mantenimento dell’equilibrio tra i vari stati regionali italiani), ma anche e soprattutto della protezione degli stessi stati regionali contro la possibilità di invasioni straniere della penisola. In quel contesto, le forti spinte autonomiste dei singoli stati e la volontà di mantenere inalterati i poteri regionali, traducevano l’idea politica di Italia non tanto in un unico Stato unitario, quanto in una federazione di Stati indipendenti. Lo stesso Machiavelli, che visse come il male assoluto l’invasione spagnola e la perdita definitiva di indipendenza degli Stati italiani che seguì alla morte del Magnifico e alla discesa di Carlo VIII nella penisola, quando a termine del “Principe” invocò il riscatto dell’Italia, egli non aveva in mente un unico Stato, ma appunto una federazione di cui la casata medicea doveva essere perno e punto di riferimento.

L’appello di Machiavelli cadde nel vuoto ed egli fu l’ultimo grande scrittore a parlare di Italia come di una realtà politica. Seguirono i lunghi secoli di dominazione prima spagnola e poi austriaca, durante i quali qualsiasi idea di unità nazionale cadde completamente nell’oblio.

Fino alla fine del ‘700, quando una generazione di giovani intellettuali italiani seppe saldare gli ideali rivoluzionari illuministi con il sogno di un’Italia libera e indipendente. E soprattutto fino a quando Napoleone Bonaparte non scese in Italia a combattere gli austriaci e a dare concretezza a quel sogno.

Ma questa, come dice il poeta, è davvero un’altra storia.

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