Ma alla fine chi ha vinto il Referendum?

L’affluenza si ferma al 32%, il quorum resta un miraggio lontano e il Referendum sulle trivelle va in archivio con un risultato dai numeri netti e inequivocabili: sconfitta del Sì e vittoria del partito dell’astensione.
Ma questo, almeno questo, era abbastanza scontato e molto più che facile da prevedere. A parte i promotori del sì che, giustamente, hanno provato a crederci e a insistere fino alla fine e a parte qualche visione eccessivamente ingenua, era davvero utopia pura pensare che un simile quesito referendario, in tempi in cui la consuetudine del voto è in caduta libera anche per questioni molto più sentite, potesse tagliare il traguardo del quorum.
Eppure, al di là dei numeri nudi e crudi, la lettura di questi risultati – soprattutto alla luce di come si è svolta la campagna elettorale nelle ultime settimane – non è né facile né scontata. Lascia numerosi interrogativi aperti, apre o suggerisce scenari complessi e indecifrabili, aggiunge incertezza e imprevedibilità in previsione delle imminenti amministrative.
Proviamo a capire, azzardando un’analisi a caldo in sei brevi punti.

1.Il 32%, lo abbiamo già detto e lo dice la matematica, è una percentuale che lascia poco margine di discussione sul risultato puro.
I numeri perciò, darebbero ragione a Renzi.
Anzi, di più. Decreterebbero una sua vittoria personale, assoluta, piena e rotonda.
A maggior ragione se pensiamo come questo 32% sia la somma di una vera e propria armata di Regioni, Comitati e Partiti schierati apertamente per il Sì o apertamente per il voto.
Dall’altra parte, per l’astensione, di fatto il solo Premier, contro anche una parte non proprio trascurabile del suo stesso partito.
Un risultato quindi, che potrebbe far pensare come Renzi, da solo, sia più forte del “resto del mondo”. In definitiva, ci si potrebbe chiedere: chi può mettere in discussione il Primo Ministro se una stravagante alleanza trasversale (dai No Triv alla Lega, da Forza Italia a Sel, dai Pentastellati agli antagonisti) non riesce ad andare oltre il 32%?

2.A maggior ragione se si pensa come, paradossalmente (ma mica poi tanto), l’oggetto del Referendum, le trivelle, sia stato molto più che secondario e trascurabile.
Nel senso che a parte, forse, le Regioni direttamente interessate e i Comitati promotori, della questione trivelle non è davvero importato niente a nessuno. Questione troppo circoscritta, quesito di conseguenza troppo “tecnico”, poco, pochissimo spazio a disposizione nei media per spiegarlo e informare.
Il dibattito – e di conseguenza l’attenzione mediatica – si è acceso soltanto quando la tornata elettorale non ha riguardato più le trivelle, ma si è trasformata in una sorta di quesito sulla politica renziana tout court. In maniera nemmeno troppo velata: a partire da Brunetta molti leader hanno dichiarato senza troppi giri di parole come andassero a votare – e invitassero gli elettori a farlo – non per le trivelle, ma per mettere in difficoltà il governo.
Perciò, sempre in termini matematici, il risultato sembra ancora di più un successo personale del Premier.

3.Eppure, proprio su questo aspetto si apre una possibile lettura del Referendum diametralmente opposta.
Anzitutto, se prendiamo come termini di paragone alcuni degli ultimi Referendum, in particolare quelli meno “tecnici” e più incentrati su tematiche generalmente più popolari e più sentite, emergono dati interessanti. Il Referendum sull’articolo 18 del 2003 (che pure seguì la manifestazione di piazza più importante e partecipata degli ultimi vent’anni) vide la partecipazione al voto ferma al 25%, esattamente come quello del 2005 sulla fecondazione assistita.
Considerando lo scarso appeal della tematica trivellazione, il 32% ottenuto, in questo senso, diventa di colpo un risultato importante e ben oltre le aspettative.
E questo certo non per un improvviso moto di coscienza e sensibilizzazione popolare sulla questione petrolifera e ambientalista. Ma, evidentemente, perché il concetto di fare lo sgambetto a Renzi ha avuto un importante effetto trainante.

4.Un effetto trainante che può essere molto più importante di quanto sembri nell’ottica delle prossime amministrative.
Infatti: se il votare “contro” Renzi smuove un certo numero di elettori in una giornata di sole e per un Referendum di cui non importa niente a nessuno, cosa può accadere in votazioni ben più sentite – e ben più importanti – come quelle comunali?

5.Che il segnale per Renzi, e per il governo, non sia propriamente positivo e rassicurante, lo conferma lo stesso Premier. Nella conferenza stampa convocata a Palazzo Chigi poco dopo la chiusura dei seggi, Renzi è apparso infatti particolarmente teso e nervoso.
Se quella di ieri fosse stata effettivamente una vittoria, avrebbe semplicemente incassato il successo ignorando i risultati (quando mai si è visto un Presidente del Consiglio convocare una conferenza stampa a termine di un Referendum abrogativo?). Di certo, non avrebbe impegnato per un quarto d’ora le televisioni rivendicando affannosamente ogni aspetto delle sue scelte e del suo operato. E, soprattutto, non avrebbe sparato a zero in quel modo contro tutti gli avversari.

6.Se però generalmente lo scenario è a questo punto quanto mai incerto, imprevedibile e indecifrabile, io almeno una certezza ce l’ho.
E cioè che, per l’ennesima volta, ieri a uscire sconfitta è stata la politica.
Quella vera.
Negare spazio alla vera discussione sul vero tema di un quesito referendario, è una sconfitta.
Usare una questione seria come questa per farne un sondaggio sulla tenuta elettorale di un governo, è una sconfitta.
Strumentalizzare una votazione, è una sconfitta.
Negare una discussione su ciò che deve, o non deve, essere materia di Referendum, è una sconfitta.
Un Presidente del Consiglio e un ex Presidente della Repubblica che invitano i cittadini all’astensione, anche se il non voto è sacrosanto, è una sconfitta del senso più stretto della democrazia.
Esponenti di partito che giocano sui social alle opposte tifoserie, sono sconfitte.
Esponenti di governo che irridono chi è andato a votare, sono sconfitte.
Un Premier che convoca una conferenza stampa trasformando un momento di democrazia diretta – il Referendum – in un qualcosa di strettamente ed esclusivamente personale, è una sconfitta.
Una sconfitta clamorosa, triste e deprimente.

Riccardo Lestini

‪#‎resistenzeRiccardoLestini‬

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *