I cento passi di Peppino
Esiste una grande Storia, con la S maiuscola, fatta di date cruciali e grandi personaggi, dove tutto accade e si sussegue in maniera logica e consequenziale: è quella Storia che trova spazio nei libri, nelle scuole e nelle università. Ma ai margini di tutto questo c’è un’altra storia, spesso non scritta, più difficile da raccontare, fatta di piccole strade che non portano da nessuna parte, paesi minuscoli e sempre uguali, insignificanti vicende quotidiane che si scontrano e s’intrecciano. La piccola storia di tutti i giorni, con la s minuscola, fatta di lotte e di uomini, di sudori e di passione, di contraddizioni e incongruenze. Una storia che non procede per le vie alte degli Stati e dei Governi, ma per le vie basse e intricate degli uomini.
È a questa storia che appartiene Giuseppe Impastato, brutalmente massacrato da un commando mafioso in un remoto anfratto siciliano, Cinisi, la notte del 9 maggio 1978.
La sua è una vicenda che nei libri non trova spazio, soffocata e cancellata dalla Grande Storia che nelle stesse ore in cui il corpo di Giuseppe, per tutti Peppino, veniva imbottito di esplosivo e fatto saltare in aria sui binari della ferrovia, scriveva una delle sue pagine più drammatiche e cruciali: il ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Fani, a Roma, ucciso dalle Brigate Rosse dopo 55 giorni di sequestro.
Roma e Cinisi, Aldo Moro e Peppino Impastato, grandi affari di Stato e piccoli drammi di provincia. La Storia e la storia.
Spesso la storia è un pericoloso coltello puntato alla schiena della Storia: la contraddice, la mette in discussione, la ribalta, ne distrugge le certezze e la costringe a interpretarsi e spiegarsi in maniera più scomoda e complicata.
Non era uno adatto alla Grande Storia, Peppino.
La sua lotta contro la mafia, per lui figlio di un mafioso, era iniziata tra le mura di casa, quella casa lontana appena cento passi da quella di Tano Badalamenti, signore di Cinisi e signore della mafia, futuro mandante del suo terrificante assassinio.
Una lotta piccola e quotidiana, nelle stanze di una minuscola e deserta sezione del PCI e sulle colonne di un giornale ciclostilato in proprio dove Peppino scriveva “LAMAFIA E’ UNA MONTAGNA DI MERDA”.
Ma troppo strette le maglie di un partito e troppo polverose le pagine di un giornale. Quella era l’età delle radio libere. Radio Aut fu un pauroso sconquasso alla placidità omertosa e sonnacchiosa di Cinisi. Ogni giorno la voce di Peppino entrava nelle case dei siciliani fendendo l’aria e affondando colpi contro “Tano Seduto Viso Pallido, esperto di lupara e spacciatore di eroina”.
Oggi, 31 anni fa, quella voce veniva spezzata per sempre nel silenzio perpetuo della piccola storia.
Oggi, 31 anni fa, Peppino, il rivoluzionario, il guerriero antimafia, il ragazzo, lasciava un patrimonio sterminato di coraggio e desiderio di giustizia.
Non lasciamo quel patrimonio sepolto tra gli archivi polverosi delle infinite province dell’Impero.
Ricordiamo, oggi, 31 anni fa, Peppino e la sua microstoria.
E ricordiamolo non come martire da commemorare.
Ricordiamolo come voce viva e presente, che grida ancora e ancora…
LA MAFIA E’ UNA MONTAGNA DI MERDA
LA MAFIA E’ UNA MONTAGNA DI MERDA
LA MAFIA E’ UNA MONTAGNA DI MERDA